Suonerà retorico, e forse lo è. Ma vale la pena soffermarsi su un pezzetto del discorso post partita di Jannik Sinner, quando parla dei genitori altoatesini, dediti alla gestione di un rifugio in montagna, ora sommersi dai meno 20 gradi centigradi mentre lui fa avanti e indietro per il campo degli Australian Open portando a casa il primo torneo del Grande Slam.
Senza mostrare grande commozione generale, come se avesse appena vinto la Coppa del Nonno all’oratorio di Cinisello Balsamo, Sinner ha ringraziato babbo e mamma “perché mi hanno sempre permesso di scegliere”. Mai una pressione. Mai l’obbligo di scegliere le racchette al posto di “altri sport”. In sintesi: “Auguro a tutti i bambini di avere quella libertà che ho avuto io. Non ho molto altro da dire”. Fine. Testa già al prossimo torneo.
“Auguro a tutti di avere dei genitori come i miei” ❤️#Tennis #AO2024 #AusOpen #Sinner pic.twitter.com/SIpNamPX18
— Eurosport IT (@Eurosport_IT) January 28, 2024
Le parole di Jannik colpiscono non per l’emozione provata nell’ascoltarle. Né per l’eloquio forbito o per il momento magico in cui sono state pronunciate. E nemmeno per l’immagine di un ragazzino che a 14 anni lascia casa per inseguire il professionismo, costretto a “crescere abbastanza in fretta”, ad imparare a cucinare e a fare il bucato”. Accade a molti grandi predestinati. Il discorso fa breccia invece per il semplice fatto che Sinner si senta banalmente un ragazzo a cui “piace giocare a tennis”.
Il pensiero non può che tornare ad Andre Agassi e allo straordinario incipit del suo libro di memorie. “Gioco a tennis per vivere, anche se odio il tennis – scriveva – Lo odio di una passione oscura e segreta, l’ho sempre odiato”. Quando il giorno del ritiro Agassi si guardava allo specchio “in fondo a quegli occhi” riusciva ancora “a scorgere il ragazzino che proprio non voleva giocare a tennis, il ragazzino che voleva lasciar perdere, il ragazzino che ha lasciato perdere varie volte”. Era obbligato a riuscire. Vedeva il padre rincorrerlo per tutta casa con la racchetta, ricordava il papà ossessionato dal successo del figlio, il bimbo di sette anni costretto a fronteggiare “il drago”, una macchina lanciapalle modificata all’occorrenza.
Eccolo, allora, il piccolo insegnamento dei genitori di Sinner, più che di Jannik: l’importanza di rispettare il diritto dei ragazzi di scegliere il proprio destino. Senza pressioni. Senza ansie. Senza costrizione. E soprattutto senza l’obbligo di mettere a frutto un talento innato. Anche quando non piace.
Giuseppe De Lorenzo, 29 gennaio 2024
Nicolaporro.it è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati (gratis).