Governo

Stato d’emergenza: i due trucchi con cui ci fregheranno - Seconda parte

Il governo vuole prolungarlo. Le mosse per superare il limite temporale imposto dalle legge

Sia nel caso della delibera ex novo, sia in quello della proroga oltre il termine, saremmo giuridicamente di fronte a qualcosa di più. Lo stato di emergenza rivela allora il suo vero volto, che è lo stato di eccezione. In altre parole, lo stato di guerra, ma senza le garanzie dell’art. 78 della Costituzione, e soprattutto senza che il Governo sia autorizzato dal Parlamento ad esercitare i “poteri necessari”. Per una guerra ci vuole un nemico, e qui il nemico è interno: oggi il no-vax, il no green pass, domani forse il no-terza dose. Nessuno se ne è ancora accorto ma c’è un  salto di qualità. Queste proteste devono cessare e lo stato di emergenza ormai di fatto diventato stato di eccezione serve ad usare il manganello o gli idranti contro pacifici manifestanti.

Cosa sta succedendo? È saltato completamente l’equilibrio tipico dei sistemi democratici: il Parlamento con i partitin è relegato a mero organo di ratifica delle decisioni del Governo, la Corte costituzionale – già chiamata ad esprimersi su un decreto-legge che autorizzava il governo a limitare le libertà fondamentali con Dpcm – dà per buone tutte le decisioni dell’esecutivo e il Presidente della Repubblica firma ormai ogni cosa. Lo stato di eccezione c’è già, a Costituzione invariata: una biglia su un piano inclinato che non trova ostacoli.

Se Benito Mussolini, per sopprimere lo Stato liberale, dovette formalmente modificare lo Statuto Albertino (Carta flessibile revisionabile con semplici leggi ordinarie successive nel tempo), Draghi non ha nemmeno bisogno di modificare la Costituzione. Draghi non è Mussolini: Mussolini era un dittatore, la sua era una “dittatura sovrana”, nel senso di Carl Schmitt, qui invece abbiamo un banchiere, un tecnocrate che si limita a oliare un ingranaggio impolitico e impersonale e lo fa tanto bene che il treno va a una tale velocità che rischia di deragliare. E su quel treno ci siamo tutti noi.

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