Storace: “Perché non possiamo dirci tutti antifascisti”

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Vuoi per l’assalto preannunciato di Forza Nuova. Vuoi per le strane inchieste di Fanpage. Vuoi che ad ogni sacrosanta tornata elettorale alla fine si torna sempre lì. Alla fine anche oggi siam qui a parlare di fascismo e antifascismo. E non è neppure il 25 aprile. L’altro ieri il leader di Forza Italia (a suo tempo il Manifesto titolò “Berlusconi come Mussolini”), ieri Salvini e oggi Meloni si ritrovano a sempre a dover risponde alla più sciocca delle domande: avete fatto i conti col fascismo? Siete antifascisti?

Il solito ritornello sul fascismo

Una risposta a questa domanda l’ha data, in maniera molto intelligente, oggi Francesco Storace sul Tempo. Lui che Alleanza Nazionale prima e La Destra poi l’ha vissuta da dentro, l’allarme ritorno del fascismo altro non sarebbe che un “pretesto per delegittimare l’avversario”. In campagna elettorale “tutto fa comodo”, anche chiedere quotidianamente a Salvini e Meloni “professione di antifascismo”. Il vero problema, per Storace sarebbe tutto nella fiamma del Msi, quel “marchio di infamia che si vorrebbe gettare addosso soprattutto su Fratelli d’Italia”. Ma basterebbe analizzare la storia per capire che prendersela con quella fiammella non porterà da nessuna parte. “L’ultimo segretario del Msi fu Gianfranco Fini – ricorda Storace – Nel 1994 portò con quel simbolo uomini e donne di quel partito al governo della Nazione. Memento: Fini non è stato solo l’ultimo segretario del Msi. Per 5 anni è stato vicepresidente del consiglio, per 2 ministro degli Esteri e per 5 presidente della Camera: nessuno ha mai pensato che An, che pur aveva ereditato la Fiamma tricolore, potesse rappresentare un’insidia per la democrazia”. Basti pensare che Mirko Tremaglia fu ministro nel governo Berlusconi dal 2001 al 2006, eppure prima di sbarcare nella democrazia ebbe un ruolo nella Repubblica Sociale Italiana come milite della Guardia nazionale repubblicana. Perché allora oggi c’è chi addirittura arriva a considerare FdI “fuori dall’arco democratico e repubblicano”?

“Perché non possiamo dirci antifascisti”

Dunque arriviamo al punto. I motivi per cui è sciocco chiedere la professione di fede antifascista a chiunque sono molteplici. Da un lato, chi ha provato (Bossi, Moratti, Polverini) ad andare il 25 aprile in piazza poi è stato sommerso dai fischi “democratici”. Sintomo che anche a sinistra non s’è fatto i conti con la storia. E dall’altra parte va tenuto conto che gli ex Msi-An devono convivere “col troppo sangue versato“. “Lo testimonia il lungo martirologio del Msi – dice Storace – troppi ragazzi morti ammazzati, nella gran parte dei casi nei quartieri meno agiati delle città. Oggi la parola «camerati» è usata il più delle volte in loro onore. Non nostalgia, ma fratellanza comunitaria. C’è chi li ha visti cadere al suo fianco. O bruciare tra le fiamme. Erano gli anni in cui «uccidere un fascista non è reato”, era il tempo del cosiddetto “antifascismo militante»”.
Basterebbe “un po’ di buongusto” nel “ricordare la storia recente” per capire che chiedere ai 50-60enni di oggi la dichiarazione antifascista è roba inutile. “Come si può dimenticare il rogo di Primavalle nel 1973, una famiglia umile sterminata con il fuoco, distrutta dalla barbarie che ammazzò in modo atroce Stefano e Virgilio Mattei? Oppure la mattanza di Acca Larentia, gennaio 1978, le pallottole senza pietà addosso ai corpi di Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta”. Insomma: “Chiedere se sei antifascista a chi ha vissuto l’agonia di Francesco Cecchin, scaraventato vivo da un muretto vicino piazza Vescovio, significa ignorare tragedie che hanno dignità anche se riguardanti comunità avverse”. Paolo Di Nella venne pestato a morte. “A chi diamine vuoi chiedere tra i suoi amici se si sentano antifascisti?”.
Militanti uccisi a sassate. Colpite a sprangate. Massacrati dalle Brigate rosse o uccisi sotto casa. “Ecco, pensare a queste storie – e tante altre ancora – farebbe bene a chi sogna abiure. Basterebbe solo un po’ di rispetto, anche in questa politica aspra. Erano ragazzi missini, avevano i loro sogni, glieli spezzarono. Quella comunità ha diritto a piangerli o no? E a chiedere giustizia? Ci si interroghi seriamente quando si architetta una macabra campagna propagandistica. Se non lo fa, si resta sul sentiero sanguinoso di una guerra civile culturale che non sembra finire mai”. Una riflessione di cui tenere conto.

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