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Tasse sulla casa, perché bisogna tenere gli occhi aperti

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Qualche giorno fa, la parte del centrodestra all’interno della maggioranza (Lega e Forza Italia, in particolare) e il presidente del Consiglio hanno raggiunto un’intesa per apportare alcune modifiche al disegno di legge delega per la riforma fiscale. Pur in assenza di testi ufficiali, possono essere svolte alcune considerazioni, rimarcando come a tale risultato – da considerarsi soddisfacente – si sia giunti anche in virtù dell’azione svolta dal partito di centrodestra collocato all’opposizione, Fratelli d’Italia.

Per quanto riguarda la materia immobiliare, le novità sono due: una concerne la tassazione dei redditi da locazione, l’altra l’intervento sul catasto.

Tassazione dei redditi da locazione

Quanto alla prima, il cambiamento è rilevante e molto positivo. Sulla base del testo presentato in Parlamento dal governo (articolo 2), la riforma avrebbe portato, salvo non prevedibili deroghe, all’aumento sia della cedolare secca del 10% in vigore per gli affitti abitativi regolati dai contratti cosiddetti “concordati”, a canone calmierato, sia di quella del 21% valida per le altre locazioni residenziali (aliquote entrambe applicate sul canone lordo e con divieto di aggiornamento Istat per tutta la durata del contratto). Il proposito, infatti, era quello di giungere, in prospettiva, a un sistema duale di imposizione sui redditi, che avrebbe accorpato in un’unica aliquota tutti quelli “derivanti dall’impiego del capitale”. E poiché l’idea era di individuare tale aliquota nel 23% o, addirittura, nel 26%, l’esito scongiurato è più che evidente. E ad avvantaggiarsi del cambio di rotta saranno anche gli inquilini.

Resta il rimpianto di continuare a leggere analisi che non comprendono l’esigenza di tassare in modo più attenuato i redditi da locazione immobiliare, in ragione dei particolari oneri (Imu indeducibile, spese di manutenzione ecc.) che questi sopportano rispetto ad altri redditi, in primis quelli di natura finanziaria. Piuttosto, l’urgenza è prevedere un regime fiscale sostitutivo anche per gli affitti non abitativi, che contribuirebbe ad attenuare la crisi del commercio.

Catasto

Sul catasto, il discorso è più complesso, ma le novità sono anche in questo caso importanti. La riformulazione dell’articolo 6 dovrebbe portare, in particolare, alla mancata introduzione di un catasto di natura patrimoniale, contrario alla tradizione reddituale del sistema italiano. Ma condurrà anche all’eliminazione di quella formulazione, a dir poco “aperta”, delle lettere b) e c) del comma 2, che aveva indotto alcuni commentatori a parlare della predisposizione di un meccanismo di imposizione sugli immobili “a rubinetto”, nel senso di liberamente aumentabili alla bisogna.

Per approfondire maggiormente servirebbe, oltre a un testo ufficiale, anche molto spazio. Una cosa, però, va detta: quello sul catasto è un compromesso. Il centrodestra chiedeva che l’articolo 6 si limitasse all’azione di regolarizzazione (comma 1), evitando la revisione (comma 2). Ma a Palazzo Chigi hanno insistito, anche impuntandosi per l’inserimento di un richiamo alla banca dati dell’Omi, l’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle entrate, che nulla dovrebbe avere a che fare col catasto. Fornisce, infatti, niente più che medie per zone con “indicazioni di larga massima” e, comunque, numeri che nulla hanno a che vedere con le stime catastali.

Gli occhi dei proprietari, quindi, devono rimanere bene aperti. Specie se si considera che l’intento del testo originario, dichiarato dal Ministero dell’economia in una relazione allegata al disegno di legge, era di agire in coerenza con la raccomandazione della Commissione europea che esplicitamente chiede di aggiornare il catasto per aumentare (ancora!) le tasse sugli immobili. Mentre occorrerebbe andare nella direzione esattamente opposta.

Giorgio Spaziani Testa, 11 maggio 2022

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