Esteri

Ucraina, Meloni porti a Zelensky la “bandiera bianca”

Il premier dovrebbe farsi portavoce non della «resa» di Kiev ma di un armistizio

© Daboost tramite Canva.com

Ho avuto alcune ore di sollievo quando domenica 10 marzo ho letto il comunicato Ansa «Il Papa: Kiev abbia il coraggio della bandiera bianca». Salvo apprendere, poche ore dopo, che il portavoce vaticano puntualizzava che il Papa non avrebbe mai nominato le parole “bandiera bianca”: se il portavoce puntualizza, vuol dire che è la voce a puntualizzare. Ancora una volta, non si riesce ad uscire dall’ambiguità. Oltre al sollievo, avevo provato anche una punta di soddisfazione, visto che due anni fa, precisamente il 23 aprile 2022, scrivevamo qui l’articolo titolato «Vi dico perché l’Ucraina deve arrendersi».

La narrazione di questi due anni ha suonato una sola nota: Putin ha invaso un Paese sovrano e quindi ha torto; inoltre, siccome dobbiamo prevenire ogni sua velleità di invadere altri Paesi, compreso il nostro, dobbiamo aiutare l’Ucraina a combatterne l’invasione. Questa narrazione, però, non tiene conto del passato e, proprio per questo, ha una visione distorta, immaginifica, del futuro. Non è ben chiaro cosa induce a pensare che la Russia voglia invadere il resto dell’Europa. La storia della Russia lascia pensare il contrario. Certo s’è allargata nell’intorno di sé stessa, ma questo è valso anche per tutti gli altri che hanno formato il loro Stato nazionale. Molti dei quali si sono allargati anche oltre, formando imperi. Anche quello russo s’è chiamato impero, ma direi più per le immense dimensioni: dall’Europa orientale fino all’Alaska (compresa l’Alaska, poi venduta per un tozzo di pane agli Stati Uniti). Ma non rammento occupazioni russe in Italia, ove ci sono state francesi, spagnole, normanne, turche, austriache. La Russia, come tutti gli altri, avevano riconosciuto lo Stato d’Ucraina. Fu questo, piuttosto, a voler esistere “contro” i russi: cito solo (di nuovo) l’articolo 10 della Costituzione ucraina del 1991, ove il Paese si dà l’ucraino come lingua ufficiale, sebbene il 40% della popolazione sia di etnia russa. Un articolo prodromico di guerra civile, se messo in mani sbagliate.

Che i dissidi tra le etnie russa e ucraina siano plurisecolari non ci piove. La loro Storia è ricca di trattati desiderosi di sancire la reciproca amicizia e la fratellanza – sempre, manco a dirlo, «indissolubile». E ove ci sono simili trattati vuol dire che ci furono dissidi. Uno di questi è il Trattato di Pereyaslav del 1654, il cui tricentenario fu commemorato con la donazione della Crimea dalla Russia all’Ucraina nel 1954. Mi son preso la briga di entrare negli archivi dei Parlamenti di Mosca e di Kiev. Il decreto del 5 febbraio 1954 del Consiglio dei Ministri di Mosca «caldeggia il trasferimento della Crimea all’Ucraina e chiede al Presidio del Supremo Soviet Ucraino di emanare apposito decreto in proposito». Il decreto del 13 febbraio 1954 del Presidio del Supremo Soviet Ucraino «caldeggia» la stessa cosa ed esprime la «sincera gratitudine e approvazione del popolo ucraino» per quel gesto «quale manifestazione di attenzione all’ulteriore rafforzamento (sic!) dell’indissolubile legame di amicizia e fratellanza tra i popoli russo e ucraino, e chiede al Presidio del Supremo Soviet Russo di procedere con quel trasferimento».

Infine, v’è il verbale della riunione del 19 febbraio 1954 del Supremo Soviet Russo ove – alla fine di un, va da sé, lungo e acceso dibattito – c’è l’approvazione unanime (né contrari né astenuti) del fatale trasferimento. Di fatto era un trasferimento formale all’interno dei territori di un unico Stato (un po’ come quando da noi nel 1963, modificando addirittura la Costituzione, si decise di dare un Abbruzzo agli abbruzzesi e un Molise ai molisani). In ogni caso, con lo scioglimento dell’Urss, le sue Repubbliche sarebbero dovute rientrare nei territori originali che avevano quando, nel 1922, entrarono nell’Unione.

Ma cosa fare ora? Viste tutte le informazioni disponibili, la bandiera bianca era la soluzione che, nel mio piccolo, auspicavo già due anni fa. Il Papa la propone ora in modo un po’ criptico, ma non tanto, tutto sommato, ma ha sollevato un vespaio nella testa di Zelensky, a leggere i comunicati di varie agenzie. Invece che «resa», mi viene in mente allora un’altra parola: armistizio. Sperare che lo proponga Zelensky è sperare troppo, legato come ha dimostrato egli di essere agli ordini di qualcun altro. Dovrebbe essere proposto esplicitamente a Zelensky da figura terza. Mi piacerebbe fosse Giorgia Meloni. Questa sembra essere la guerra di Joe: Joe come Joe Biden, che non può interromperla fino a novembre – a danno di altri giovani che moriranno. Ma l’unica cosa che al momento dovrebbe contare è interrompere l’aumento dei morti. Se poi all’armistizio seguiranno degli accordi e la pace, meglio. Ma almeno s’interrompe per un po’ la strage.

Franco Battaglia, 17 marzo 2024

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