Una undicenne contro la propaganda gender a scuola

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Ricordiamo tutti il memorabile video in diretta dei due paladini della sinistra odierna, Alessandro Zan e Federico Lucia, alias Fedez, durante il quale, facendo propaganda del disegno di legge di cui è firmatario e concentrandosi in particolare sul suo, più che controverso, cardine dell’identità di genere, il primo sosteneva che la scuola deve sostenere e incoraggiare i bambini “non binari” ad avviare i “percorsi di transizione”, e che i genitori devono essere “sensibili” verso ciò. Soffermiamoci allora sul modello “culturale” che, più o meno direttamente, spinge questi personaggi a instaurare questo modello educativo “Gender fluid”, finanche per i bambini più piccoli: ovviamente, rigorosamente “Made in Usa”, così come molte altre mode che vediamo spopolare qui in Europa (pensiamo agli inginocchiamenti), lo possiamo considerare come il nuovo, a mio modo di vedere pericoloso, fenomeno in cui si traduce questo diffusissimo “atlantismo culturale”.

La testimonianza di Sveva

Al riguardo, ci viene in soccorso la testimonianza di Sveva, bambina italo-americana di 12 anni, che in questo video ci racconta la sua esperienza scolastica in America (in prima media): prima di tutto, sappiamo che la sua maestra, senza nemmeno chiedere il permesso ai genitori, ha fatto firmare a tutti i bambini della classe un foglio in cui ciascuno deve dichiarare di “rispettare tutti anche se sono trans, Gender fluid, ecc…”- iniziativa lodevole, viene da pensare, ma il senso effettivo di scriverlo nero su bianco quale sarebbe? Nelle intenzioni della scuola dovrebbe essere una sorta di “giuramento”? Pare però che il motivo sia che nella sua scuola, ormai, questa del “Gender fluid” è diventata una moda, un “trend”, tanto che, ad esempio, molti ragazzini, che spesso nemmeno sanno cosa significhi essere gay o lesbica, né ovviamente lo sono per davvero, letteralmente obbligano i compagni a farsi chiamare non col loro nome, bensì con vari pronomi, evidentemente “gender neutral” o similari, che scelgono apposta (lei non li ha chiamati come volevano e gliene hanno urlato dietro di ogni).

La moda del gender fluid

Quantomeno, è confortante sapere che anche un bambino/a, come appunto Sveva, arriva a dire che questi ridicoli trend, che ovviamente attirano maggiormente i bambini più insicuri e fragili, tutto si possono definire meno che davvero “rispettosi” verso quegli adulti, capaci di intendere e di volere, che sono effettivamente convinti di effettuare questo cambiamento, e che magari per questo motivo sono realmente discriminati. Se solo vivessimo in un mondo normale e non accecato dall’ideologia, su questo concorderebbero tutti: come dice Sveva, quella di cambiare sesso ed essere trans è una grande, e complicata, decisione, che richiede, ovviamente, una capacità di comprensione di ciò che si vuole fare, una effettiva capacità di intendere e di volere: nessuno lo impedisce o vuole impedirlo agli adulti, ma tutt’altro discorso vale per i bambini di 6, 7 o pochi più anni (come per gli adolescenti, direi: il cambio di sesso non può essere una “pazzia” giovanile, dettata dall’impulso). Invece, in quel mondo pazzo quale è l’America, e che qualcuno qui sembra volere imitare, ci sono dei genitori che fanno operare per il cambio di sesso bambini di 6 anni.

Ma non è tutto: non poteva mancare, in questi ambienti (stiamo parlando di scuole elementari, o al più scuole medie), l’altra “moda”, in questo caso nazifemminista, del Metoo: basta che un bambino sfiori, anche solo per gioco, ad esempio la spalla di una bambina, affinché questa poi gridi allo stupro, credendosi parte di un “team”, di un movimento “per i diritti delle donne”; come dice Sveva, anche questa estrema “suscettibilità”, tale da drammatizzare e credere come gravi fatti semplicemente ridicoli, come può definirsi “rispettosa” verso quelle donne/ragazze che subiscono veramente violenze?

L’errore degli adepti del politicaly correct

Morale della favola: a furia di indottrinare i bambini, obiettivo dichiarato del politically correct, i suoi adepti non si rendono conto che in tal modo finiscono di fatto per ridicolizzare le proprie battaglie: ciò per il semplice fatto che i bambini, essendo fisiologicamente incapaci di interiorizzare con discernimento temi del genere, assorbono tutto ciò acriticamente e lo intendono come puro gioco. E dire che queste battaglie, almeno in astratto e come punto di partenza, possono pure essere definite condivisibili: pensiamo per esempio alla difesa dei diritti delle donne, dei gay, alla lotta al razzismo, ecc.; il problema però è che a tutto ciò poi aggiungono sempre un qualcosa di puramente ideologico, che nulla ha a che vedere con l’effettiva lotta alle discriminazioni, e che spesso e volentieri, come dimostrano queste “rivendicazioni” Lgbt, sono solo delle pare mentali, delle cose che, in un mondo normale, sarebbero considerate da pazzi perché assolutamente al di fuori della realtà e di ogni logica.

Dopodiché, per non farci mancare nulla, non si accontentano di questo: grazie al solito “aiutino” della stampa e dei social, fanno in modo che questi contenuti “spazzatura” siano letteralmente imposti alle persone, mediante un vero e proprio lavaggio del cervello che si basa proprio su “trend” come quelli di cui sopra; infine, come ultimo gradino, ultima fase di questo spostamento della finestra di Overton, viene l’imposizione per legge, come con il Ddl Zan.

Per concludere: quale può essere il risultato di tutto ciò sulla psiche dei bambini? Ovvio: una crescente insicurezza e confusione, le quali, spesso, purtroppo, si traducono in depressione e, nei casi più estremi, in suicidio, tanto che proprio in America c’è un mese chiamato “Suicide Awareness”. Normale, dunque, che Sveva, per sfuggire a questo delirio, voglia adesso tornare in Italia, sperando che non si traduca in concreto quanto affermato dagli esponenti “politici” nostrani citati all’inizio.

Achille Passarelli, 21 luglio 2021

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