Politica

“Un’aspirazione diventare madri”. Che ha detto di male?

L’esponente di FdI, Lavinia Mennuni, nel mirino delle femministe per le sue parole

Nell’ultima polemica dell’anno, speriamolo almeno ma con questi chiari di luna non c’è da illudersi, si ritrovano tutte le caratteristiche del pollaio Italia: vacuità, strumentalizzazione, superfluità, squisita idiozia. Trattasi dell’uscita di una parlamentare di destra, questa Lavinia Mennuni, sulla necessità per le giovani donne di fare figli: subito attaccata, anzi azzannata dalle vestali de sinistra.

Subito una conferma: la destra non è capace di spiegarsi, non sa parlare, è un disastro appena apre bocca: su fratelli, su cognati, accorrete in fitta schiera alla scuola di comunicazione: non di Chiara Ferragni non di Chiara Ferragni, possibilmente, ma qualcuno che vi insegni a esprimervi, è urgente. L’uscita sulla “maternità che deve tornare cool” è puro nonsenso, di quelli insopportabili, da influencer, e finisce per rovinare con una espressione sbagliata un concetto condivisibile o per lo meno innocente: cosa ci sarebbe di infame per una donna nell’avere bambini? Cos’è, la soddisfazione si ha solo comperandoli all’utero postal market? E poi, perché diavolo una donna italiana cristiana bianca occidentale sarebbe intollerabile nel suo desiderio di maternità mentre, allo stesso tempo, lo stesso desiderio nelle donne africane, di credo islamico, viene considerato sacro, indiscutibile, e ovviamente da sostenere, anche qui, soprattutto qui, per via statale, cioè tasse e ancora tasse, pagate dagli sporchi indigeni per le altre etnie ospiti?

Detto questo, si arriva facile alla stupidità cialtronesca de sinistra. I titoli dei giornali sembrano un condensato del fondamentalismo imbecille di “Non una di meno”, che per l’occasione si potrebbe ribattezzare in “Non uno di più”; ovviamente, le politicanti a vario titolo de sinistra non si smentiscono, cioè brillano per malafede e limitatezza argomentativa e pertanto politica, se è vero che la politica è la scienza delle soluzioni diffuse sulla base delle necessità sociali.

Le cretinette, perché di questo si tratta, arrivano a scomodare, in ordine sparso: il fatidico (e malinteso) Medioevo, l’immancabile Fascismo, la forza del destino (polemicamente, ma ad mentulam Verdi), per poi allargarsi a cerchi scentrati alla solidarietà, le politiche di sostegno, l’egualitarismo, i cambiamenti climatici, free Palestina, nessuno tocchi Hamas, manca solo il presepe sorosiano di +Europa. Cazzate monumentali. Il messaggio da sinistra, condensato, è il seguente: no, non è “cool” fare figli, è “cool” scegliere, prescinderne, fare il cazzo che si vuole, “cool” è abortire, “cool” è sottrarsi all’oscurantismo. E non dicono più “clericale” perché ormai il clericalismo bergogliano le supera a sinistra, arriva a teorizzare roba aberrante in tutti i sensi.

Come no, la vita da cartone animato è cool, fare quello che più ci piace sarebbe marxisticamente cool, cioè realisticamente impossibile, ingravidarsi e poi espellere il feto sarebbe cool. Ma io conosco tante che dopo un aborto non sono state più le stesse, e non è assolutamente questione di gettar loro la croce addosso, tutt’altro: vivono un trauma che lo puoi ridimensionare, perfino ridicolizzare fin che ti pare, ma esorcizzarlo non puoi. Resta. Resta nell’anima, nel rimorso, in quella nebulosa dove scelta, necessità e disperazione si mescolano. Una donna che abortisce può esserci costretta, può farlo con presupposti che nessuno può giudicare, ma resta offesa dentro, sofferente dentro perché ha ucciso qualcosa in sé. Qualcosa di se stessa. Merita rispetto, non la strumentalizzazione balorda di un’ideologia che, magari, la ha fuorviata, ma dopo non la soccorre più, dopo vola via lasciandola nel suo dolore.

La stessa cosa per la maternità acquisita, conquistata: coronata. Non si capisce perché dovrebbe offendere una donna invece di completarla. Io nelle mie recenti traversie ho conosciuto tante giovani donne, che potrebbero essermi figlie, che hanno genitori della mia età precisa, felici, orgogliosissime dei loro bambini ancora piccoli: lavorano, mi rimettono in sesto, non le ho mai viste, non le ho mai percepite come penalizzate per la loro scelta, anzi mi pare che proprio da quei bambini avuti ancora giovanissime traggano la forza, il senso della loro vita completa, fra lavoro, incombenze, famiglia. Mi parlano di quelle loro figliole e i loro occhi splendono, casomai sono io, che di figli non ne ho avuti, a provare una sottile fitta di rimpianto.

Poi ci sarebbe il discorso squisitamente politico: di figli, come noto, l’Italia ne fa sempre meno, l’Europa ne fa sempre meno, e le proiezioni più recenti pronosticano un sorpasso dei nuovi arrivati nel giro di una generazione. Non sarebbe neanche drammatico, non fosse che questi nuovi italiani, italiani non lo sono e non si sognano di diventarlo: puntano, e lo dicono, a sostituire completamente la nostra civiltà, a travolgere le tradizioni di chi li ha accolti, e peraltro chi li accoglie fa di tutto per rinnegarsi, vergognandosi di avere costruito una civiltà accogliente anziché distruttiva e spietatamente selettiva come quelle da cui i nostri ospiti provengono. Paradossi che non toccano la sinistra, e, purtroppo, ormai nemmeno più la destra. Qualche anno fa Renato Zero (che nel ‘73, tempo di aborto militante, fu il primo e l’unico col coraggio di fare una canzone che invece, poeticamente, lo stigmatizzava), cantava: “Al lavoro madri che qui la vedo magra/Pochi fiocchi rosa e blu, molto viagra/La culla è vuota dategli giù, signori”. Nella sintesi beffarda ma allo stesso tempo accorata dell’artista, la tragedia di una civiltà che crolla: le cose stanno proprio così, altro che oscurantismo medievale se una decide un figlio.

Per quanto si sforzi, nessuna suffragetta o suffragiona de sinistra riuscirà mai a dimostrare che essere madre sarebbe una vergogna, una sofferenza, un sacrificio, una benedizione da scontare. Cazzate, cazzate monumentali (però se la destra imparasse una buona volta a comunicare…)

Max Del Papa, 28 dicembre 2023

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