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“Vaccini brodaglia”. E finisce indagato

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È giunto il momento di lanciare un avviso per i cittadini: attenti all’uso dei social network! Molte persone adoperano le piattaforme virtuali ignorando le regole del mondo dell’informazione, esponendosi di fatto a rischi legali personali. È recente la notizia che vede coinvolto un uomo di 66 anni, primo indagato dalla Procura della Repubblica di Cremona per “istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico, in vigore a tutela della salute pubblica nel periodo di emergenza pandemica da covid-19”.

Per la Procura l’uomo ha indotto delle persone a disobbedire alle leggi dello Stato, in questo caso quelle anti covid, inducendo anche le persone a non vaccinarsi definendo i vaccini come una “brodaglia”. Per molto tempo l’uomo ha condotto una lotta social contro i vaccini, ma anche contro le mascherine, definendo quest’ultime “causa di lento e inesorabile suicidio”.

L’uomo non ha mancato di commentare sempre via social: “A mio parere ci troviamo di fronte ad un caso più unico che raro dove una persona viene portata in Tribunale per avere espresso delle opinioni, un fatto contemplato dalla nostra Costituzione. Se mi accusano di aver commesso un delitto per quelle frasi, mi pare che siano accuse estremamente leggere, sottili. Tutti gli italiani allora potrebbero essere, d’ora in poi, accusati”.

Internet rappresenta il mondo del libero pensiero, ma questa realtà deve e dovrà confrontarsi sempre con la responsabilità personale e collettiva dei contenuti espressi. In questo caso ci troviamo davanti all’art. 415 del Codice penale: “chiunque pubblicamente istiga alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico, ovvero all’odio fra le classi sociali, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”. Dunque, il reato mira a punire chi, in qualche modo, riesce ad istigare altre persone, a violare le leggi, sovvertendo in qualche maniera l’ordine pubblico e dando il là ad un atteggiamento da parte di altre persone che possa portare al disordine sociale. Alla base ci deve essere un agire pubblico e i social network lo sono a tutti gli effetti.

I social sono uno strumento efficace di comunicazione che ovviamente comportano dei rischi connessi alle varie forme di comunicazione. Personalmente non sono un esperto in materia di legge, ma credo che oggi sia molto facile incappare nella violazione dell’art. 595 del Codice penale, mi riferisco al reato di diffamazione. Pensiamo a tutti gli insulti veicolati con faciloneria dagli utenti nei post e nei commenti senza pensare alle conseguenze.

Ma attenzione, anche nell’intercalare quotidiano si potrebbe teoricamente sfociare in un reato. Ad esempio, oggi è di uso comune l’utilizzo di “etichette” per identificare singoli o gruppi di persone attinenti ad uno specifico pensiero, tipo: no-vax, pro-vax, negazionisti, complottisti, terrapiatisti ecc… Questo slang potrebbe in teoria violare la famosa Legge Mancino del 25 giugno 1993, un atto legislativo della Repubblica Italiana che sanziona e condanna frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitamento all’odio, l’incitamento alla violenza, la discriminazione e la violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali.

La legge punisce anche l’utilizzo di emblemi o simboli. In questo caso, certe “designazioni” potrebbero risultare discriminatorie. In pratica, è molto più semplice di quanto si pensi finire nei guai attraverso la comunicazione pubblica.

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