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Vaccino: finitela con la teleliturgia della profilassi

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Tutti pazzi per il vaccino. Ma pazzi davvero, non per dire. La Ue, che è la vera madre di tutti i disastri, lancia un “Vaccinescion Day” che pare una canzone di Celentano. In America, è già partita l’era Biden e si capisce da una coreografia di sanitari deficienti che, mascherina d’ordinanza in faccia, ballano oscenamente festeggiando l’arrivo del vaccino.

Panacea

Il vaccino! La panacea, l’elisir, la pozione magica che risolve tutti i guai, però anche no. Da noi finisce come sempre in modo petaloso e s’inventano i comprensori a forma di primula, qualche giornale suggerisce di mettersi una primula addosso, tanto per distinguersi, “io me lo sono fatto”: ecco, ci siamo, prossima fermata stella gialla e triangolo rosa. Il tutto senza più sdegno, orrore, stupore, anzi con una sorta di demenziale aspettativa, di entusiasmo stralunato. “Io, io voglio essere il primo, voglio testarmi subito, non posso aspettare, non sto più nella pelle delle palle” urlacchiano i servi e gli zelanti dai salottini televisivi, dove il conduttore manda in scena a reti unificate la liturgia: “Vuoi tu vaccinarti, credi nel vaccino, rinunci alle seduzioni negazioniste?”. La risposta degli ospiti è scontata: sì, subito, adesso, sono in astinenza anche se non l’ho mai provato, sparatemi ora un’overdose, sto a ruota, non ce la faccio più.

Liberi tutti, sia chiaro, e nessun problema col vaccino (salvo verifiche genetiche sul nostro Dna), solo che est modus in rebus: colpisce questa smania, questa foia, questa frenesia lievemente svaccata, bucatemi, testatemi, immunizzatemi. Questa gara tra vippetti, inetti, wannabe, figli di un cognome già col braccio teso, la spalla scoperta. Colpisce e preoccupa, perché, ancora una volta, la corsa al conformismo isterico scatena danni devastanti, chi pretende un minimo di prudenza, chi si sofferma sugli aspetti confliggenti e complicati della faccenda, chi non aderisce immediatamente al vaneggiamento collettivo è un criminale, un negazionista, un irresponsabile e va espulso dal consesso sociale come un calcolo dai reni.

Poi la presunzione di tanti, convinti di redimere masse di incauti sulla strada della salvezza, a volte sfocia in risultati più prosaici, che so, un filmetto di Stato, un tour finanziato dai compagni al potere, un figlio a Sanremo, una pubblicità progresso o di qualche compagnia controllata dal partito. Ma quanti bei virologi, madamadorè: tutti concentrati nel triangolo delle Bermude Parioli-Capalbio-Montenapo, tutti a maggior gloria di Dio e del Pd. Il Dio della scienza, si capisce. Ma la scienza, di solito, procede per persuasione lenta, empirica, dimostrata, spiegata; non per comizi, non per vanitas vanitatum et omnia vaccinitas, non per calcolo politico dei santoni in camice, non per chi ce l’ha più lungo: il conto in banca o l’attico vista Colosseo.

Non c’è immunità al regime

Tutti pazzi per il vaccino, ma non è una cosa seria: lo fosse, non transiterebbe per certe stazioni mediatiche tra casi umani, arrivisti, bordelli mascherati per festicciole simpatiche, “e adesso voltiamo decisamente pagina”. Anche se ormai, volti pagina e trovi sempre la stessa pagina: Covid, vaccini, lockdown, zonarossa, coronavirus, contagi, intubati, morti, ieri un telegiornale è arrivato alla bassezza infame di intervistare un becchino, proprio così, uno delle pompe funebri circondato da bare calde; e già nei talk show mattutini tolgono la voce a chi non si adegua alla dittatura neanche tanto strisciante (ma allora che li chiamate a fare?). È notizia fresca che, in camera caritatis, i ministri Pd e Leu volevano davvero spedire i gendarmi in casa a Natale e Capodanno, poi hanno capito che era troppo. Per il momento, ma ci riproveranno, la voglia di controllo torna sempre fuori, gratta il postcompagno democratico e trovi il Berija. E i leccaculi del potere, questo potere ridicolo e fosco, si sprecano.

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