Esteri

Vi spiego l’irraggiungibile obiettivo di Trump

La politica dei dazi di The Donald e il rischio inflazione: ma dove li trovano gli operai disposti a tornare in fabbrica?

Trump dazi (2) © Only5 tramite Canva.com

Dopo un primo, iniziale sconcerto, molti analisti economici stanno esaminando a mente fredda le prospettive della forsennata politica dei dazi promessa da Donald Trump e poi ragionevolmente sospesa, tranne che per la Cina. Una Politica che, a prescindere dagli eventuali sviluppi futuri, si prefigge alcuni obiettivi totalmente irraggiungibili, a meno di non riportare indietro di oltre sessant’anni lo sviluppo economico dell’intero pianeta.

Tra gli obiettivi dichiarati vi è quello di far tornare negli States buona parte di quella manifattura che, nel corso del processo di costante integrazione dell’economia mondiale – la tanto bistrattata globalizzazione, che “incidentalmente” ha consentito a qualche miliardi di individui di uscire dalla povertà assoluta -, si è fortemente ridotta in moltissimi settori dell’industria americana.

In questo senso, l’economista Stephen Miran, considerato l’ideologo dei dazi, in un intervento pubblicato sul sito ufficiale della Casa Bianca, ha dichiarato che “il presidente Trump ha promesso di ricostruire la nostra base industriale andata in frantumi e di perseguire accordi commerciali che mettano al primo posto i lavoratori e le imprese americane”.

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Ora, tutto questo si inserisce in un sistema economico che presenta un tasso di disoccupazione molto basso – un fisiologico 4%- ; un sistema economico caratterizzato da due elementi fondamentali: alte remunerazioni e fortissima prevalenza dei settori legati ai servizi, così come d’altronde sta accadendo da tempo in tutte le economie avanzate.

In pratica, il governo americano vorrebbe convincere molti propri concittadini a togliersi i classici e ben remunerati colletti bianchi per indossare le assai più scomode tute blu. Tuttavia, ci sono alcuni elementi che rendono assai difficile, se non impossibile questa sorta di nostalgico ritorno al passato. In particolare, gran parte dei beni realizzati all’estero – pensiamo alle Nike, che vengono prodotti in Cina, Vietnam e Indonesia – utilizzano manodopera relativamente a basso costo, nell’ambito di culture che ancora oggi accettano ritmi di produzione nemmeno concepibili in Occidente.

Quindi, il new deal manufatturiero evocato dai consiglieri del Tycoon, ammesso e non concesso che sia concretamente realizzabile, determinerebbe un notevole aumento dei prezzi (è stato stimato che le citate Nike fatte interamente negli Usa costerebbero il doppio e l’ultimo modello di iPhone (in questo caso c’è stata una salutare retromarcia, esentando molte componenti prodotte all’estero) oltre il 50% in più) di gran parte dei beni interessati, provocando di conseguenza crescita dell’inflazione – che lo stesso Trump ha giurato di sconfiggere – e perdita del potere d’acquisto dei cittadini americani.

Per questo motivo credo che, dopo la fiammata emotiva che ha sconvolto governi e mercati, costringendo Trump a fare retromarcia, il partito onnipotente della realtà richiamerà un po’ tutti all’ordine, catastrofisti compresi.

Una ulteriore spintarella in questo senso siamo certi che la darà la nostra pragmatica premier, oggi, portando in dono al Tycoon la formula “zero per zero dazi”. Una proposta ragionevole per una cooperazione ragionevole. Staremo a vedere.

Claudio Romiti, 17 aprile 2025

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