Interviste

Vi spiego perché il Porro di Rete4 non è quello della Zuppa

L’intervista di Nicola Porro a TvBlog: “Con la Zuppa ho un dialogo diretto con i commensali, in tv parlo ad un pubblico più vasto”

Riproponiamo l’intervista di Massimo Falcioni a Nicola Porro su TvBlog.

È l’uomo del lunedì, giorno in cui – paradossalmente – in prima serata c’è in onda un solo talk: il suo. Un’anomalia in una fase storica in cui il genere è spalmato ovunque, in qualsiasi rete e orario. Quella di Nicola Porro con Quarta Repubblica è pertanto una sfida in solitaria, ma al contempo una battaglia contro due colossi, che il diretto interessato, numeri alla mano, arriva ad associare a Sanremo.

“Chi si occupa di televisione dice che sono pubblici totalmente diversi, ma quando su Rai1 e Canale 5 hai fiction e reality che sommati succhiano il 50% di share, è un po’ come se ogni settimana combattessi contro il Festival”, spiega Porro a TvBlog. “Ognuno è infelice a modo suo, tutti hanno la concorrenza, però a me succede di essere coperto da settembre a giugno da una fiction e da un reality, obiettivamente è penalizzante. Ma il mio punto di vista è semplice: se ho dall’altra parte Sanremo, devo pensare che c’è pure una fetta di pubblico che non lo guarda. E io quel pubblico devo conquistare. Quest’anno credo di aver finito con una media di quasi il 6%, sono felice e penso lo sia anche l’azienda”.

Il reality, oltretutto, invade per intero la vostra fascia oraria, salutando mezz’ora dopo.

Vero. Non solo li ho contro per tutta la stagione, ma chiudono dopo di me. Quando ho contro una partita sono più felice, almeno alle 23 me la sono tolta dalle scatole. Comunque lo sapevamo fin dall’inizio che quella del lunedì sarebbe stata una serata complessa.

Perlomeno al lunedì non corre il rischio di sfidare un altro talk. C’è meno concorrenza anche sulla scelta degli ospiti.

Sì, è un vantaggio in questo senso, ma questo discorso ormai vale fino ad un certo punto. Rete 4 ha un talk politico in prima serata dalla domenica al giovedì, a cui si aggiungono sette giorni di access prime time, il Tg4 che spesso ha interventi in studio e le altre reti. Capisci bene che gli ospiti rischiano di usurarsi, non necessariamente per la concomitanza del giorno, ma perché prima o dopo li hai già visti o li vedrai altrove. Secondo te è bello vedere un politico ogni giorno in tv? Se lo hai ascoltato la domenica, lo riascolti il lunedì? Un tempo non era così. Per questo credo che un talk oggi debba possedere un’anima. Non sono più gli ospiti a fare la differenza, bensì la scrittura del programma. Concedimi una precisazione.

Prego.

Mario (Giordano, ndr) al martedì non fa propriamente un talk, ma un’altra cosa. È stato il primo a capire che non poteva entrare in quel meccanismo e ha intelligentemente virato su un altro linguaggio.

A proposito di linguaggio, Quarta Repubblica è senza ombra di dubbio il talk più istituzionale di Rete4. Nella forma e nei toni.

È una considerazione che mi riempie d’orgoglio. L’editore ci ha spiegato che il lunedì è una giornata molto complicata per via della concorrenza molto forte. Dopo il sabato, è la serata peggiore per un talk. Devi dettare l’agenda della settimana e occorre un certo tono. Quel modo di fare è nelle mie corde e lo preferisco ad altri tipi di comunicazione che ritengo ugualmente legittimi.

C’è poi il Porro del web, decisamente agli antipodi. Come spiega questa metamorfosi?

La Zuppa di Porro è nata sette anni fa. È un appuntamento che rinnovo tutte le mattine. Per me è una valvola di sfogo, un transfert psicanalitico, un’operazione catartica. Butto fuori tutta la mia passione, che non definirei rabbia. In rete ho un dialogo diretto con la mia community, in tv parlo invece ad un pubblico più vasto, entro nelle case degli italiani, devo essere educato e rispettare le opinioni di tutti. La Zuppa è un piccolo circolo di affezionati al mio modo di pensare liberale e liberista.

Inevitabile l’ironia per un contrasto assai evidente. A Forrest, su Radio1, hanno creato addirittura dei montaggi che mescolano le sue due personalità.

Capisco perfettamente che questa cosa possa essere vista come una doppia personalità. Ma c’è davvero una parte di me che cerca di ascoltare le idee di tutti e un’altra che parla con la sua comunità. Nel secondo caso mi esprimo come si farebbe in famiglia. Chiunque mi conosca bene riconosce che a Quarta Repubblica c’è sì un taglio istituzionale, ma allo stesso tempo personale. Porto avanti battaglie civili, economiche. Sarei schizofrenico se esponessi idee differenti, ma qui parliamo di toni e il tono si lega al mezzo. Se vado ad una cena di gala metto la giacca e la cravatta, se vado ad un matrimonio mi presento in tight, se vado al mare mi vedi in maglietta e calzoncini corti. Ma sono sempre io.

Riguardo a Quarta Repubblica, la percezione è che sia uno dei pochi programmi a non aver risentito della sparizione del pubblico in studio. Anzi, la trasmissione sembra averci guadagnato.

Sono d’accordo, infatti ho chiesto all’editore di non riaverlo per la prossima stagione. Sono convinto che senza si dia più valore alla parola. Per me il pubblico in studio è un problema, non un’opportunità.

Ne è sempre stato convinto o se ne è accorto strada facendo?

Devo essere sincero, me ne sono accorto. Non avendolo ho capito alcune dinamiche. Non che prima lo soffrissi, ma ho notato che se ne può fare a meno. L’ho imparato da Santoro: il pubblico ha un effetto confortante o sconfortante sull’ospite. Io invece vorrei che non venisse influenzato dall’applauso.

La sensazione a livello visivo è quella di uno stadio a porte chiuse. A questo punto verrà rivista la scenografia?

Ci stiamo lavorando. A me piace sedermi sugli spalti, lo faccio spesso. Non abbiamo ancora deciso, stiamo valutando.

C’è un politico che quest’anno ha rifiutato il suo invito?

No. Ho invitato più volte Enrico Letta e non è mai venuto, ma penso per impegni già presi in precedenza. Non credo ci fossero motivi particolari.

Matteo Salvini fino a tre anni fa era una sorta di Re Mida degli ascolti e i programmi sgomitavano per averlo. Oggi la sua resa mediatica si è appannata. Come se lo spiega?

È avvenuto anche con Renzi. Quando ero in Rai, ogni volta che veniva Renzi si verificava un beneficio incredibile sulle curve d’ascolto. A mio avviso la televisione va dosata. Poi c’è un altro aspetto fondamentale: bisogna avere qualcosa da dire. Ci sono i fan che vogliono vedere il loro beniamino, ma sono sempre una minoranza, checché se ne dica. I seguaci sono uno zoccolo duro che avrai sempre. La differenza la fanno le persone che ti ascoltano perché hai qualcosa da comunicare. Ma se quelle cose le hai già dette cento volte, quel pubblico lo perdi. La politica non sposta più nessuna curva, sono le situazioni a farlo.

Ad esempio?

Sono rimasto impressionato dal risultato ottenuto dal confronto tra Renzi e Palamara sulla magistratura. Un tempo il tema della giustizia era uno sfollagente, ma quell’accostamento era originale e la curva degli ascolti è stata buona. Con il referendum non ho fatto solo servizio pubblico, ma anche ascolti. E’ stata una pagina scritta bene.

Al contrario, la narrazione televisiva della guerra ha perso appeal.

L’abitudine è un potente isolante. La spettacolarizzazione ha creato assuefazione. Ho assistito a collegamenti dalle zone di guerra con i morti visibili alle spalle dell’inviato. Senza contare che con il Covid era stato infranto il tabù della morte con l’ingresso delle telecamere nelle terapie intensive degli ospedali. L’ho trovato disgustoso, io non l’ho mai fatto.

È un appassionato di montagna. Come giudica la tragedia della Marmolada e il racconto svolto in questa settimana dalla tv?

Non do voti, non mi permetto. Ma noto che nessuno va oltre, nessuno pensa di portare in trasmissione il fisico Franco Prodi. Si è scelta la strada più semplice del riscaldamento climatico.

In passato i talk polarizzavano e ottenevano ascolti record. Un’epoca che pare archiviata per sempre.

Non c’è più un personaggio divisivo come Berlusconi. Quando partecipavo ad Annozero, Santoro metteva in scena settimanalmente il dramma. Una situazione che non si è mai più ripetuta con altri politici.

Renzi e Salvini non sono stati altrettanto divisivi?

No, non quanto Berlusconi. Non sono minimamente paragonabili. Sono, o sono state, copie sbiadite di quel dramma.

Ogni tanto riemerge l’allarme fascismo. Quell’argomento perlomeno tira.

È un succedaneo. Sono operazioni che piacciono a determinati circoletti. Spesso si confonde il proprio pregiudizio intellettuale con quello che accade davvero nel mondo. È un racconto che non funziona, ma non funziona manco la critica a questo punto di vista. Con Berlusconi c’erano anti-berlusconiani e berlusconiani e la contrapposizione giovava pure a noi.

Suor Monia Alfieri è diventata una presenza fissa di Quarta Repubblica. Com’è nato questo feeling?

La adoro. È stato bellissimo trovare una suora dalla mentalità liberale, la osservavo da tempo e sono felice di essere riuscito ad ingaggiarla. È un volto diverso nel panorama televisivo, mi piace molto.

Nel 2013 Carlo Freccero disse di lei: “È bello, intelligente, con un’agenda ottima. Appartiene alla categoria di quelli che vanno in vacanza a Saint Tropez e che non sentono dal profondo la pulsione animale”. Se la prese?

Adoro Freccero, lo incrociai in Rai. Il suo è il classico pregiudizio dell’uomo di sinistra che non si spiega come sia possibile che una persona nata fortunata possa aver voglia di sbattersi. C’è un elemento di verità in ciò che affermò. Quando mi cacciarono dalla Rai e da La7 fu meno grave per me che per qualcun altro. Io non ho mai vinto un premio giornalistico, spero di morire senza averne mai ricevuto uno, è una cosa che aborro. Tutto questo fa sì che io sia esterno a questo mondo.

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