I fenomeni di violenza e di sopraffazione che hanno come protagonisti adolescenti e giovani sono divenuti, purtroppo, eventi quotidiani. Res amara valde. È cosa molto triste. I mezzi di comunicazione, con una frequenza davvero sorprendente e incalzante, ci fanno conoscere episodi in cui la violenza la fa da padrona: a scuola, a casa, per le strade, nei locali di divertimento. E, quel che è peggio, questi fenomeni sono accompagnati da video realizzati dai gregari del violento di turno. Si tratta di fenomeni davanti ai quali lo sgomento provato è pari al senso di impotenza.
Eppure qualcosa va fatto. Non voglio essere fraintesa: sicuramente dietro questi fenomeni ci sono cause, le più diverse e le più disperate. Tuttavia, mi sia consentito di dire a tutti: basta con il paternalismo! Basta con quell’atteggiamento che vuole giustificare gli accadimenti, andando ad individuare cause vere, ma anche presunte, con il solo scopo di confondere per non voler trovare soluzioni e, mi si permetta, anche sanzioni. Con queste mie affermazioni non voglio assolutamente mettere in discussione l’opera davvero meritoria di coloro che si spendono per far sì che giovani condannati al carcere possano ritrovare la strada della legalità. Assolutamente: questi cammini presuppongono un ravvedimento, un desiderio di prendere le distanze dal male commesso.
Si tratta spesso, tra l’altro, di attività promosse grazie al volontariato: a queste realtà la nostra società deve molto. Credo, però, che, accanto a questi sforzi, debba essere la società degli adulti, a livello del singolo come delle Istituzioni, a prendere chiaramente le distanze, a condannare non solo la violenza ma anche il violento. Il violento è una persona che ha sbagliato: in quanto persona, egli va assolutamente rispettato ma va anche detto chiaramente che egli rappresenta un pericolo per la comunità, se la propensione alla violenza persiste. Credo che sia possibile ravvisare, tra i diversi fenomeni in questione, alcuni denominatori in comune: innanzitutto il senso di impunità. Anche se sparo contro la mia insegnante, non mi accadrà nulla, ciò che ho compiuto di sbagliato durante il primo quadrimestre sarà cancellato nel secondo.
Si badi bene: non intendo dire che l’errore commesso non abbia possibilità di riscatto, ma che almeno esso si verifichi in un lasso temporale più ampio, se effettivamente il ravvedimento è avvenuto. Un altro denominatore comune ai diversi fenomeni di violenza è l’indifferenza: la nostra società così narcisistica, così concentrata su se stessa, sulla propria immagine, ha fatto sì che il sentimento per l’altro sia decaduto a favore di un interesse per l’altro, un interesse prettamente utilitaristico e meschino. Si arriva ad uccidere il proprio coetaneo a seguito di una lite per motivi futili. È il concetto stesso della vita ad essere posto in discussione. L’altro, se intralcia i miei interessi, merita di essere schernito, dileggiato, picchiato, ucciso.
E il tutto a favore di social: anche il mondo dei social, più che essere considerato come un mezzo di relazione, diventa un mezzo di affermazione, di esaltazione di se stesso: più persone vedranno il mio video, più la mia personalità si rafforza, divento degno di rispetto. Purtroppo è un rispetto guadagnato sul campo della violenza non sul campo dell’onore. E i social amplificano, diffondono, contribuiscono all’esaltazione del modello negativo che, paradossalmente, batte quello positivo in termini di followers e di popolarità. Un altro denominatore comune è la libertà, unita alla disponibilità di risorse economiche. A costo di passare per antiquata ma dove sta scritto che ragazzini di 14, 15 anni possano stare fuori casa per l’intero pomeriggio o la sera fino a tardi?
Forse, mi dico, per i genitori di oggi, alcuni, non tutti, è più comodo avere i figli fuori casa: meno occasioni di confronto, di contrasto, divertimento assicurato per tutti, genitori compresi. Dove sta scritto che nelle tasche dei nostri adolescenti ci siano soldi tanti quanti servono per acquistare alcolici, droghe, smartphone e via discorrendo. Anche su questo fronte è più facile dare la mancia che confrontarsi con il proprio figlio. Ecco perché da tempo vado ripetendo che la nostra società ha bisogno di adulti: adulti genitori, adulti insegnanti, adulti professionisti, adulti che siano in grado di dire di no, in modo fermo, adulti in grado di comminare sanzioni, adulti che siano in grado di tenere la barra dritta, con amore e ragionevolezza, secondo l’insegnamento di don Bosco.
In uguale misura anche i genitori devono essere supportati nel loro compito educativo: i genitori non devono sentirsi soli ma devono sentirsi accompagnati da una rete di relazioni con il territorio in cui vivono, così da generare occasioni buone di crescita per i loro figli. La famiglia isolata, economicamente ricca o povera non importa, genera il disagio che si traduce nella violenza. Anche il mondo delle istituzioni deve fare la propria parte, sostenendo le diverse realtà che si occupano di educazione, scuola in primis. Quando accadono episodi di violenza a danno, poniamo, degli insegnanti, la condanna deve essere ferma e corale: la violenza non deve diventare occasione di contesa tra le forze politiche; parimenti il confronto, legittimo, all’interno della politica deve avvenire con modalità tali da non divenire occasione di esempio negativo per la società.
Occorre, pertanto, lavorare per instillare nelle menti e nei cuori di tutti, indipendentemente dall’età, il gusto per la bellezza delle relazioni sane con se stessi, con gli altri, con il creato. Solo da questo passaggio la nostra società potrà liberarsi da quella violenza che deturpa e cancella il nostro legame di fratellanza in umanità.
Suor Anna Monia Alfieri, 1° luglio 2023