Esteri

All’Ucraina sì, a Israele no: lo strano doppiopesismo sulle armi

Kiev riceve forniture ogni quarto d’ora, mentre per lo Stato ebraico iniziano i distinguo

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Da una parte c’è uno sforzo collettivo per dare armi da quasi tre anni, mentre dall’altra c’è una sorta di campagna per il disarmo. Entrambi i Paesi sono stati attaccati, uno dalla Russia e l’altro da Hamas. Uno chiede continuamente sostegni e l’altro no. Eppure in Occidente c’è una specie di doppiopesismo incomprensibile tra Ucraina e Israele. Qualcuno dirà: certo, le forze di Putin non sono le stesse del gruppo terroristico palestinese. Ma da dove arriva questa furia pacifista per Gaza, se allo stesso tempo c’è una corsa frenetica alla consegna di mitra, bombe e droni a Kiev?

Dal febbraio del 2022 la Nato è schierata al fianco dell’Ucraina per fornire un contributo alla difesa dagli attacchi delle truppe del Cremlino. Spese ingenti per aiutare la democrazia, nonostante i dubbi sorti cammin facendo. Negli Stati Uniti il dibattito è acceso, ma non è mai venuto meno l’aiuto per Kiev. Lo stesso Zelensky con una regolarità impressionante ha invocato armi, soldi e forniture, tra eventi pubblici e summit internazionale. Appena due settimane fa è stata diffusa una lettera-appello da parte dei leader di cinque Paesi Ue (Germania, Danimarca, Repubblica Ceca, Estonia e Paesi Bassi) per invocare più sforzi sulle armi all’Ucraina. L’Italia ha ovviamente contribuito alla difesa di Kiev, senza mai battere ciglio: la scorsa settimana è stata autorizzata anche per il 2024 la fornitura di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari. E il dialogo per la pace? Nessun progresso da diverso tempo, ma anzi accuse e botta e risposta al vetriolo in grado di alzare l’asticella della tensione.

Il buonsenso lascia presupporre un trattamento simile per Israele, Paese attaccato e da tempo al centro di dinamiche piuttosto delicate in Medio Oriente. Ma qui la posizione dell’Occidente cambia, a partire dalle armi. A differenza di Zelensky, lo Stato ebraico non ha chiesto denari o altro tipo di aiuto, ma solo il sostegno a livello internazionale per porre fine alle violenze di Hamas. Dopo tante parole, le prime lamentele sulla reazione eccessiva. Ora l’utopia del disarmo: l’Alto Rappresentante Ue Joseph Borrell ha sottolineato che “se si ritiene che il numero di morti palestinesi sia troppo alto, forse si può fare qualcosa per renderlo meno elevato in futuro”. Un chiaro riferimento agli armamenti. Come se non bastasse, a Corte d’Appello dell’Aia ha stabilito che il governo olandese dovrà interrompere la fornitura di pezzi di ricambio per i caccia israeliani F-35 entro una settimana. Il motivo? “Il chiaro rischio di violazione del diritto internazionale umanitario” a danno dei palestinesi.

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Ma l’esempio più lampante della differenza di trattamento arriva dagli Stati Uniti. Se per l’Ucraina s’è detto pronto a tutto pur di ottenere una vittoria sulla Russia, Joe Biden per Israele pretende una soluzione pacifica, con il cessate al fuoco. Onorevole, sia chiaro. Ma perchè per Tel Aviv sì e per Kiev no? L’ultimo desiderio del presidente dem riguarda la tregua in Medio Oriente: “Con re Abdullah II di Giordania si è discusso di un accordo sugli ostaggi tra Israele e Hamas, che porterebbe un periodo di calma immediato e prolungato a Gaza, per almeno sei settimane. Potremmo poi prenderci il tempo per trasformarlo in qualcosa di più duraturo”. “Gli elementi chiave dell’accordo sono sul tavolo. Rimangono delle lacune, ma ho incoraggiato i leader israeliani a continuare a lavorare per raggiungere l’accordo”, ha aggiunto il capo della Casa Bianca. La conclusione è la seguente: “Gli Stati Uniti faranno tutto il possibile affinché ciò accada”. Washington farà lo stesso per Kiev? Perchè allora sì che potrebbe arrivare la pace anche nell’Est Europa.

Massimo Balsamo, 12 febbraio 2024

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