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Come nel 2017, l’ondata Le Pen destinata a infrangersi contro le roccaforti di Macron

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Nonostante le aspettative – o timori – a seconda dell’entourage politico culturale, piuttosto variegato in Francia, e nonostante le elezioni d’oltralpe siano considerate da molti come il possibile innesco di un cambiamento in un’Europa sempre più percepita come potere centralista, è molto probabile che nemmeno questa volta ci sarà una vittoria di Marine Le Pen, o della cosiddetta “Francia profonda”.

I dati del primo turno del voto francese parlano abbastanza chiaro su quello che è il milieu dell’elettorato, piuttosto sfaccettato, ma sostanzialmente macronista. Interessanti, a supporto di questa tesi, sono i voti espressi a Parigi, che come è noto anche nelle precedenti elezioni ha spostato l’asse politico dalla destra delle province alla sinistra, in ultimo assegnando la vittoria ai candidati più vicini alla gauche.

I candidati principali, più sotto i riflettori, erano Emmanuel Macron, Marine Le Pen, Jean-Luc Melanchon e Eric Zemmour. I dati nei rispettivi arrondissements parigini mostrano un Macron in ascesa rispetto alle precedenti presidenziali del 2017, con valori fino al 48,47 per cento nel 7°; 47,62 per cento nel 6° (che sono, in particolare il 15°, zone di fascia sociale alta), e su questa linea tutti gli altri quartieri, con un interessante eccezione, quella di Melanchon, che prende il 38,45 per cento contro il 31,47 di Macron nel 10°, il 36,26 per cento contro 32,84 nell’11°, il 41,70 contro il 29,03 nel 18°; il 46,51 contro 28,37 nel 19° e il 47,17 contro il 23,71 per cento nel 20°. Consideriamo che questi ultimi sono quartieri in cui la presenza di islamici è molto alta e sommata alle banlieu è in grado di spostare l’asse del voto sia verso il candidato dell’estrema sinistra, che verso Macron il cosiddetto “europeista”, che proprio per questo ha favorito tutta una serie di politiche a favore dell’alto numero di immigrati o di “francesi islamici” di seconda e terza generazione.

Per quel che concerne Marine Le Pen (vista come l’estrema destra sovranista) i dati sono nettamente più sfavorevoli rispetto ai candidati di cui abbiamo visto, vanno dal 13 per cento del 1° arrrondissement al 5,56 del 20°; perfino più modesti rispetto a Eric Zemmur (intellettuale ebreo con origini algerine), che va dal 7,01 per cento nel 1° ad un picco del 17,48 nel 16° (dove Le Pen per esempio ha solo il 5,80 per cento).

Quindi, anche se la Le Pen ostenta una certa sicurezza, e i sondaggi l’abbiano data in crescita, grazie anche ad un profilo più “moderato” rispetto alle precedenti elezioni del 2017, rimane probabilmente un personaggio scomodo, per il suo passato politico-familiare, il nome che porta la pesante eredità politica del padre e l’antisemitismo atavico della Francia (ricordiamo che è un Paese dove il numero di violenze sugli ebrei da parte islamista è molto alto, così come le fughe delle famiglie ebree sia dai quartieri a maggioranza islamica, sia verso l’estero). Probabilmente il suo partito avrebbe potuto crescere se Marine avesse fatto un passo indietro e avesse dato spazio a qualcuno meno legato al passato, per esempio la nipote, Marionne Mareschal, che non a caso aveva rinunciato al nome Le Pen.

È chiaro che queste elezioni hanno una forte valenza non solo per la Francia, ma anche per l’Europa e l’Italia, ma il voto antigovernativo non avrà la meglio sulla macchina infernale del potere che farà leva ancora sulla “paura”, ovvero quello che viene presentato come il disastro se vincesse la destra. Né il potere internazionale, né quello interno alla nazione permetterà la svolta, perché la Francia non è l’Ungheria. L’Europa non tollererebbe la perdita di una nazione chiave nei rapporti d’affari con il mondo arabo (che tanto fruttano all’economia francese) e l’America dei Democratici.

Esattamente come nelle precedenti presidenziali, i successi della Le Pen nel sud e in provincia si frantumeranno contro la roccaforte parigina e delle grandi città. Niente di nuovo quindi, la Francia proseguirà imperterrita la folle corsa verso l’islamizzazione (si stima che nel 2030 sarà a maggioranza islamica), sotto la guida di Macron, che non piace ai ceti popolari ma resta l’uomo dell’eurocrazia al potere, che consoliderà la “fasciosfera” del politically correct, colui – per dirla con Michel Onfray –  che più incarna il futuro di Sharia e Transumanesimo della società del futuro. La Francia è perduta, ma pure l’Europa e l’Italia non stanno tanto bene.

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