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Quel pasticciaccio brutto del Governo Vecchio

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No, per una volta Paolo Gentiloni non c’entra. A via del Governo Vecchio, a Roma, è successo un pasticciaccio brutto: succede quando lo stato gioca a fare il privato, rimediando inevitabilmente clamorose figuracce. In quella strada c’è un edificio storico, Palazzo Nardini, già sede della Pretura e del Governatorato, abbandonato da decenni, che la Regione Lazio guidata da Nicola Zingaretti ha venduto a Invimit, società del Mef. Ora però è stato dichiarato inalienabile dagli uffici del Mibact: il classico pateracchio, causato dall’incapacità delle strutture pubbliche di ogni grado di fare sistema, oltre che di gestire i palazzi storici e rispettarne la storia. Senza menzionare il danno erariale provocato dalle amministrazioni di uno stato, nelle sue perverse dissezioni localistiche, che meriterebbe la scure della Corte dei Conti ogni volta che i complessi immobiliari vengono mandati in malora, senza riscuotere alcun canone di locazione. Per non parlare dei danni causati ai vicini proprietari privati, che per colpa della codarda s-gestione pubblica vedono deprezzare i loro beni.

La macchina amministrativa ha le ruote sgonfie, con un motore che picchia in testa, con meccanici-giuristi spesso incompetenti: il risultato odierno, che va ascritto alla testardaggine di una giornalista del quotidiano la Repubblica, Arianna Di Cori, alla quale andrà intitolata una targa sulla facciata dell’edificio inalienabile, deve far riflettere sul degrado che ormai regna nelle stanze dei dicasteri, dove la fretta regna sovrana e nessuno ha più voglia di riflettere. Manca addirittura la conoscenza dell’abc del diritto amministrativo, in numerosi casi. Quel palazzo, ricordava anni fa un regista di valore come Umberto Lenzi, era “la ex vecchia Pretura: nei primi anni settanta fu sussidiaria di Cinecittà per i film polizieschi: questura, commissariati, appartamenti e tetti vari. Poi subentrarono le femministe che ci fecero smammare a forza e vi ubicarono comuni e affini”. Come dimenticare un film come “Doppio delitto” di Steno, del 1977, tratto dal libro del grande Ugo Moretti intitolato “Doppia morte al Governo Vecchio”, con Marcello Mastroianni nei panni del commissario Baldassarre, con un cast che vantava Peter Ustinov, Ursula Andress e Agostina Belli, tra gli altri. E poi c’è “Squadra antiscippo” di Bruno Corbucci, del 1976, con Tomas Milian nei panni del commissario Giraldi, che entra in motocicletta dal portone del palazzo e compie una scorribanda che lo porta sui
tetti dell’immobile, sempre sul cavallo di ferro.

Sono passati oltre quaranta anni da quelle pellicole, il complesso è sempre stato lasciato lì, inutilizzato, nonostante le proteste che ciclicamente, nel tempo, gli abitanti del centro e gli amanti di Roma facevano risuonare nelle stanze sorde e mute dei palazzi del potere. La Regione Lazio lo acquisì dal patrimonio ex Ipab Santo Spirito, uno dei tanti istituti colpiti da uno pseudoriformismo che ha solamente distrutto ricchezze create nel corso di secoli e umiliato la civiltà conquistata (come la cosiddetta riforma sanitaria voluta da Tina Anselmi): ma Palazzo Nardini è uno dei tanti esempi di malgoverno che vede i beni culturali vittime predestinate di uno stato onnivoro e confusionario che non rispetta la storia e i propri “sudditi”. E nemmeno le regole.

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