Esteri

La sfida in casa Tory: ritrovare l’eredità thatcheriana, meno stato e anti-wokeism

La battaglia per l’anima dei Tories, tra “One Nation Party” di Rishi Sunak e neo-thatcherismo di Liz Truss

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I mutamenti ideologici non sono una novità per il Tory party, e quello in atto da qualche tempo sembra aver messo in discussione l’anima stessa dei Conservatori. La caduta di Boris Johnson ricorda ampiamente, seppur in circostanze diverse, il destino conclusivo di molti predecessori ben più illustri di lui.

Recuperare l’eredità thatcheriana

In ugual modo, si spera che questa disfatta possa rappresentare anche la battuta d’arresto di un tentativo, poco thatcheriano, di ridefinire i connotati del vero partito di governo di Sua Maestà.

È su questa eredità, quella della signora Thatcher, da cui i Tories dovrebbero ripartire con decisione. Ora la palla spetta a loro, nella scelta di un leader che ritorni saldamente a sostenere quei principi di liberalismo economico che Johnson e parte dei suoi fedelissimi avevano volutamente ignorato per convenienza elettorale.

È pur vero che è la base stessa del partito ad essersi ampliata. I nuovi elettori del cosiddetto Red Wall nel Nord dell’Inghilterra intravedono nel riallineamento della destra la possibilità di ritrovare spazio in un One Nation Party, così come veniva definito il Partito Conservatore sin dai tempi di Benjamin Disraeli.

La Thatcher e la working class

È opportuno ricordare che un interesse da parte della working class non è nuovo nella storia del partito. Nel 1979, Margaret Thatcher ottenne oltre il 40 per cento dei voti della cosiddetta skilled working class, attratta dalle aspirazioni offerte dal riuscitissimo popular capitalism.

La Thatcher stessa aveva in tal modo riformato il vecchio Tory Party, alquanto aristocratico e simile ad un esclusivo club di predestinati alla politica. Lo fece aprendo ad una stagione per la quale non ci sarebbe più stato il consenso a tutti i costi, bensì la libertà a tutti i costi.

Una parte di irriducibili, in Inghilterra così come in Scozia e in Galles, non la perdonerà mai per aver ristrutturato l’economia britannica così radicalmente, e forse questi ex elettori “rossi” hanno creduto che Johnson volesse abbandonare quella spinta propulsiva.

Ciò spiega perché nel 2019 molti lo hanno preferito rispetto al socialista Jeremy Corbyn, simbolo della vecchia sinistra che non ha più posto in una società moderna se non, ahimè, nelle folli utopie delle nuove generazioni.

Sunak vs Truss

Riconosciamo dunque grande strategia politica a questi nuovi Tories, ma non dimentichiamo che la via maestra rimane sempre quella low tax and low spending, come ha affermato Sherelle Jacobs in un intervento sul Daily Telegraph dal titolo “To survive, the Conservatives must channel Mrs Thatcher once again“, rifiutando i crescenti stimoli alla rinascita di un nuovo “One Nation Toryism“, che vede nell’ex Cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak (il favorito) uno dei principali sostenitori e in Liz Truss uno dei più agguerriti oppositori.

Anti-wokeism e meno stato

Jacobs prosegue nella sua analisi, suggerendo con ragione ai Conservatori di respingere l’idea attualmente in voga nel partito per cui il successo elettorale sia oggi possibile solo grazie ad una sintesi di “high spending with anti-wokeism”. Così come l’opposizione alla deriva woke è da considerarsi un bene, allo stesso modo la scelta di un approccio statalista in economia è da respingere categoricamente.

Non dimentichino dunque che è quella thatcheriana la svolta dirompente che ha ridisegnato la politica britannica per diversi decenni, permettendo anche la nascita del New Labour di Tony Blair, anch’egli conscio che la rivoluzione divisiva della Lady di ferro stava mostrando i suoi frutti migliori, generando un’economia forte, dinamica, aperta e, perché no, più disuguale.

Ma del resto la disuguaglianza non è un male, perlomeno per chi crede nella libertà e non nell’equa distribuzione della miseria, come avrebbe detto Sir Winston Churchill.

Convincere i nuovi elettori del Red Wall

Tories dovrebbero riappropriarsi della loro familiare impronta liberista, convincendo anche i nuovi elettori del Red Wall che un’agenda basata sulla riduzione della presenza pubblica e sul rifiuto della demagogia sociale sia ancora una soluzione vincente.

For the many and not the few, come ci ha ricordato Daniele Capezzone nel suo recente “Per una Nuova Destra”, nel non farsi abbagliare dall’errata convinzione per cui a pagare gli aumenti di spesa pubblica sia sempre qualcun altro e, continua Capezzone, nel “ribadire sempre che solo una crescita sostenuta può offrire ad un Paese i margini per l’adozione di adeguate misure sociali”.

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