Esteri

Titoli di coda per Boris? I veri motivi che spingono i Tories a liberarsene

Le dimissioni di Sunak e Javid riaprono la crisi. Johnson proverà a resistere (già nominati i sostituti), ma è improbabile che la sua premiership duri ancora a lungo

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Fin de partie per Boris Johnson? Sembra proprio di sì. La conclusione beckettiana della sua esperienza di premier e leader del Partito Conservatore si è fatta sempre più vicina ieri sera quando prima il ministro della salute, Sajid Javid, e poi il Cancelliere dello Scacchiere, Rishi Sunak, hanno annunciato le loro dimissioni passando dalla parte degli oppositori interni del primo ministro, accusato di non avere più l’integrità morale e la capacità di guidare il Paese.

È stata una giornata febbrile a Westminster e a Downing Street ieri, con le notizie sul caso Pincher ad aggravare ulteriormente la situazione per Johnson, già sotto tiro dopo la vittoria mutilata della motion of confidence del 6 giugno scorso, e il pessimo risultato nelle suppletive di Tiverton e di Wakefield.

Il pasticcio Pincher

Le dimissioni di Pincher, il vice capogruppo Tory ai Comuni, sono state l’ennesimo pasticcio condotto da BoJo e dai suoi. Inizialmente il parlamentare non è stato sospeso dal gruppo, poi dietro pressione dei media e dei deputati Tory gli è stato tolto il “whip”. Infine, lo staff di Johnson ha affermato che il premier non sapeva delle precedenti accuse di molestie a carico di Pincher, anche se un alto funzionario del Foreign Office lo ha contraddetto.

Quando il leader Tory è apparso di fronte alle telecamere per scusarsi per avere nominato Pincher vice Chief Whip a febbraio, i buoi erano già scappati dalla stanza e c’erano già state le defezioni dei due ministri.

Johnson proverà a resistere

Ora, il 57enne Johnson proverà a resistere, ha già nominato i due nuovi ministri del suo governo (Zahawi nominato Cancelliere dello Scacchiere e Barclay alla Sanità), ma è improbabile che la sua premiership duri ancora a lungo. Anche se al momento i pezzi forti del governo – che sono tra l’altro papabili candidati alla sua successione – sembrano giurare lealtà al loro leader.

Dal caso di Owen Paterson, il deputato dimessosi dopo essere stato difeso a spada tratta dal partito nonostante avesse violato le norme sul lobbying dei parlamentari, passando per la sagra del partygate, i collaboratori di BoJo non si può dire che abbiano aiutato il premier a superare le tante fasi difficili della legislatura.

Dietro gli scandali, divisioni politiche

E a poco è servito lo shake-up dello staff dello scorso inverno: Downing Street si rivela ingestibile, ed è anche, naturalmente, colpa dello stesso Boris. Profonde divisioni sulla politica economica nel partito – evidenziate anche da Sunak nella sua lettera di addio – sulla strategia elettorale, sull’implementazione della Brexit e sulle restrizioni della pandemia hanno eroso il consenso dei Tories nei confronti di Johnson in questi tre anni.

La paura dei deputati del Blue Wall – i seggi tradizionalmente conservatori nel sud del Paese – di vedersi scavalcati dai LibDems e di quelli eletti nel 2019 di perdere la loro maggioranza nel Red Wall ex laburista, hanno condotto il partito a mettere sempre più in dubbio la posizione di Johnson.

Se un maverick come lui non è più in grado di far vincere le elezioni ai Tories, a cosa serve tenerlo come leader? Questo si sono chiesti nel Partito Conservatore. Al di là, quindi, della questione relativa all’integrità morale e agli scandali – che sono pure stati ingredienti fondamentali della caduta di Johnson – le lacerazioni in casa Tories sono destinate a permanere anche con il prossimo leader nel futuro più prossimo.

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