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Fate chiudere quella pagina! Il velo islamico è sottomissione, non tradizione né cultura

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La vergognosa condanna in Iran a 33 anni di carcere e 148 frustate dell’avvocatessa iraniana Nasrin Sotoudeh, ha destato l’indignazione della Comunità internazionale (considerata la condanna già emessa in precedenza, di anni di carcere Nasrin ne dovrà scontare 38!).

Una delle ragioni per cui Nasrin è stata condannata, è il suo ruolo di rappresentante legale delle donne che, in questo ultimo anno, hanno lanciato una protesta pubblica contro il velo obbligatorio. Donne che sono state arrestate e condannate anche a pene di oltre venti anni di carcere.

Come suddetto, la condanna della Sotoudeh ha provocato anche lo sdegno italiano, compreso quello del ministro degli interni Salvini (che ha definito la pena “medievale”) e del ministro della giustizia Bonafede che – pressato dal Consiglio nazionale forense e dell’Ordine degli avvocati romani – ha pubblicato un tweet di condanna.

Eppure, mentre ci scandalizziamo per la condanna di Nasrin, l’Istituto di cultura della Repubblica Islamica a Roma ha una pagina in italiano del suo sito internet dedicata a “Hjiab (velo) e moda Islamica”. Una pagina che, con quattro video della tv di stato Press TV (uno intitolato “fashion e tradizione”) e con una serie di immagini, mostra come si deve indossare il velo, come è bello portarlo per una donna e la varietà dei colori in cui è possibile portarlo (e abbinarlo). Ovviamente, la pagina ci tiene anche a sottolineare che il velo, in Iran, è obbligatorio non solo per le iraniane, ma anche per le donne straniere (come la Mogherini insegna…).

Ora, che l’Istituto di cultura iraniano – voce del regime iraniano – promuova il velo obbligatorio, chiaramente, non scandallizza nessuno. Che questo sia accettato in lingua italiana su un sito rappresentante un regime fondamentalista e misogino, è un’altra cosa. Perché se si vuole dimostrare davvero solidarietà a Nasrin Sotoudeh, è ora di passare dalle parole ai fatti. Nasrin stessa è sempre presentata in pubblico con il velo eppure, nel nome della libertà e dei valori di pluralismo in cui crede, ha difeso le donne iraniane che rifiutano di portare il velo obbligatoriamente e ha rifiutato di presentarsi una volta in aula, proprio perché era costretta dal giudice a portare il velo. È quindi ora che le autorità italiane rifiutino di vedere nella pagina in italiano sul velo dell’Istituto di cultura della Repubblica Islamica, una mera spiegazione delle tradizioni locali.

Quelle tradizioni in Iran sono imposizioni, che quotidianamente comportano delle repressioni durissime contro chi si ribella (tra loro, anche qualche uomo). È ora quindi di chiudere quella pagina e dire in faccia a Teheran che – nel rispetto delle tradizioni – il velo non può essere un obbligo e che, soprattutto, non è possibile per una donna finire venti o trenta anni in carcere, per aver tolto il velo.

In un Paese – l’Iran – dove legalmente la testimonianza e la vita di una donna valgono metà di quelle di un uomo, dove il velo è obbligatorio dai sette anni, dove legalmente il matrimonio per le donne è valido dai 13 anni e dove una donna per avere un passaporto, un lavoro o anche solo affittare una casa ha bisogno di un tutore maschile, l’imposizione dell’hijab non è un tema di tradizione, ma di mera oppressione. Non c’è libera scelta, ma solo sottomissione. Non è cultura, ma misoginia e fondamentalismo! Davanti a tutto questo, bisogna dire no. Quindi sì, chiudete quella pagina!

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