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Governo giallo-blu a gonfie vele (per ora), ma temi economici divisivi. La legge di bilancio sarà il banco di prova

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All’inizio sembrava impossibile, poi improbabile, ma alla fine il governo giallo-blu è nato. Messi da parte i conflitti e le parole grosse, e dopo la rottura (definitiva?) del centrodestra, Salvini e Di Maio sono al potere da quasi due mesi. E il loro operato, almeno finora, sembra piacere agli italiani. Infatti, secondo un sondaggio pubblicato sul Corriere della Sera lunedì scorso, la maggioranza di governo riscuote circa il 62 per cento dei consensi divisi equamente tra le due forze populiste. Una cifra notevolissima se si pensa al valore percentuale dei due partiti alle politiche del 2013, 29,7 per cento (Lega al 4,1 e M5S al 25,6), e alle europee del 2014, 27,4 per cento (Lega al 6,2 e M5S al 21,2). Un incremento di quasi 35 punti percentuali (di cui ha beneficiato soprattutto Salvini) che ha ridisegnato lo scacchiere politico italiano, demolendo il bipolarismo tra destra e sinistra su cui si era fondata la Seconda Repubblica.

Questi dati, però, vanno maneggiati con molta cura. Senza illudersi che siano scolpiti nella pietra, quasi che l’unione tra leghisti e pentastellati possa durare in eterno. I sondaggi fotografano la classica luna di miele tra il governo appena insediato e gli elettori. In effetti il protagonismo del ministro degli interni e il taglio ai vitalizi promosso da Di Maio hanno riscosso un buon successo. Anche perché temi graditi da gran parte dell’elettorato. Restano da vedere gli effetti che produrranno le scelte in materia economica. Qualcuno non verrà accontentato e farà mancare la propria adesione al partito di riferimento. In altre parole, bisognerà capire quanto potrà durare l’equilibrio raggiunto dagli alleati dopo la prima fase di strapotere salviniano.

Nonostante la stabilità delle ultime settimane non va dimenticato che quello tra Salvini e Di Maio è un matrimonio di interesse di cui Conte è semplicemente il garante-esecutore. Un’alleanza temporanea dalla quale i contraenti possono sempre liberarsi. Anche se in questa fase la coesione sembra prevalere, le frizioni covano sotto la cenere. E di tanto in tanto emergono prepotentemente. La questione migranti, i temi economici che dividono il Nord produttivo dal Sud assistenzialista, e le grandi opere sono nodi irrisolti che neanche la costante mediazione il premier riesce a ricomporre. Il primo banco di prova da cui si comprenderà la natura e la durata del governo arriverà dopo la pausa estiva. L’approvazione della legge di stabilità e tutte le questioni economico-finanziarie verranno al pettine. In questo frangente si potrà finalmente scoprire il destino del governo giallo-blu.

L’impressione è che Salvini voglia usare questa occasione in modo tattico. Ottenuti alcuni successi sull’immigrazione e abbozzati alcuni provvedimenti economici, potrebbe far saltare il banco e stracciare il contratto di governo in autunno, magari dopo l’approvazione della legge di stabilità. In un sol colpo potrebbe sbarazzarsi della numerosa compagine grillina e dei tanti tecnici che popolano l’esecutivo. Liberarsi dell’asse Tria-Conte (benedetto da Mattarella) sarebbe particolarmente utile per approvare provvedimenti economici più radicali, magari violando i vincoli europei. In questo modo il leader della Lega potrebbe cavalcarel’ondata populista che sta sommergendo l’Europa. Accorpando le elezioni politiche alle europee avrebbe al suo fianco anche Steve Bannon (l’ex chief strategist di Trump), che sta lavorando senza requie ad un’internazionale populista. Quale occasione migliore per massimizzare il consenso di questi mesi e mettere definitivamente alle corde i partiti tradizionali?

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