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Il nuovo partito di Bolsonaro oltre le veline del lulismo e le solite accuse di fascismo

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Il “Trump dei Tropici”, il presidente del Brasile Jair Bolsonaro ha fondato un nuovo partito: Alleanza per il Brasile (ApB). La scelta è conseguente all’abbandono del contenitore partitico con cui ha concorso alla presidenza nel 2018, il Partito Social Liberale. Le lotte intestine interne al PSL con la fazione bolsonariana capeggiata dai figli Eduardo e Flavio – quest’ultimo capo in pectore di ApB – contrapposta a quella del vecchio leader, il deputato pernambucano Luciano Bivar, hanno portato alla fondazione del nuovo movimento.

Secondo il quotidiano O Globo, 26 dei 53 deputati del PSL – seconda forza politica dopo il PT di Lula – dovrebbero seguire il capo dello Stato nella nuova formazione, divenendo così il dodicesimo partito per numero di eletti sui 27 presenti nel Congresso. Sì, perché la democrazia brasiliana è un presidenzialismo di coalizione in cui le alchimie tra le varie sigle che compongono Camera e Senato si ripercuotono sulla stabilità della presidenza, così come successo per l’ex presidente Dilma Rousseff, che fu sottoposta ad un procedimento di impeachment.

I media italiani, sempre attenti a descrivere la politica del più grande Stato dell’America Latina per luoghi comuni o attraverso le veline del lulismo, non hanno perso l’occasione per emettere l’ennesima sconclusionata sentenza di fascismo anche in questo caso. Un articolo del Manifesto a firma di Claudia Fanti, ha descritto il nuovo partito di Bolsonaro come “esplicitamente fascista”. Ma entriamo nel merito di questa dichiarazione perché il manifesto ideologico di Alleanza per il Brasile non assomiglia né al Manifesto di San Sepolcro del 1919, né alla Carta del Lavoro del 1927 che istituiva il sistema corporativo, né a qualunque altro documento del fascismo storico o del neofascismo.

Trattasi, invece, di una lista di pochi ma chiari principi annunciati da Karina Kufa, avvocato e tesoriera del partito, in occasione della convention fondativa. Alleanza per il Brasile “è un partito conservatore, che promuove libertà e ordine, che servirà al popolo brasiliano per diffondere la sua voce, per la piena rappresentazione e realizzazione della sua vocazione, in armonia con le tradizione storiche, culturali e morali della nostra nazione brasiliana“. E già qui, tremano i polsi a immaginare chissà quali attentati alla giovane democrazia verde oro. Se aggiungiamo, il definirsi “un partito sovranista, impegnato nell’autodeterminazione e non con gli obiettivi e le false promesse del globalismo“, ci sono tutti gli ingredienti per un processo sommario di presunto fascismo universale nel quale collocare il nuovo soggetto politico di Bolsonaro. La Kufa ha annunciato che il partito si impegnerà a stringere legami con i movimenti antiglobalisti nel Regno Unito, Stati Uniti, Polonia e Italia. Prodigandosi inoltre a divulgare la verità sui crimini commessi da globalismo, comunismo e – udite, udite – nazifascismo.

I punti ideologici enunciati sono principalmente cinque. Il rispetto di Dio e della religione, come componente fondamentale nella nascita e nell’evolversi storico della nazione brasiliana. Si riconosce, inoltre, il ruolo storico che gli ordini religiosi ebbero nell’alfabetizzazione dell’allora terra di Santa Cruz, in cui il primo atto ufficiale fu la celebrazione di una messa. In sostanza, si presenta la religione come elemento costitutivo dell’identità nazionale del Paese con più cattolici al mondo. Sconvolgente. Il tutto -pensate – senza rinunciare alla laicità dello Stato che “non va confusa con l’ateismo obbligatorio dei regimi  totalitari che perseguono le religioni”. In sintesi il partito “fa suoi i valori fondanti del vangelo e della civiltà occidentale, erede dell’incontro virtuoso tra le città di Gerusalemme, Atene e Roma”. Sembra di leggere un documento politico della Democrazia Cristiana.

Nel secondo punto si riafferma il rispetto alla memoria, all’identità e alla cultura del Paese, con riferimento alla storia brasiliana, ai suoi eroi del passato e alla preservazione delle lingua portoghese. Il terzo principio afferisce sempre la matrice social-cristiana dei bolsonariani, dove si parla di difesa della vita e della famiglia. Ciò si traduce in un no fermo all’aborto e nella difesa del valore della maternità. Senza dimenticare la difesa della famiglia come fondamentale nucleo naturale della società e la protezione dell’infanzia contro traffici e pedofilia, attraverso pene più severe. Infine, la legittima difesa viene intesa come possibilità di porto d’armi per tutti in funzione della tutela della proprietà privata e della propria libertà personale.

Il quarto punto riprende una delle ragioni del successo di Bolsonaro alle ultime elezioni: la garanzia della “Lei e Ordem” – il law and order anglossassone – ovvero la sicurezza pubblica. L’afflato securitario di Bolsonaro si traduce nella promessa della creazione di un sistema penale dove vige la certezza della pena, la difesa di un’integrità territoriale che includa l’Amazzonia, vittima di incendi di natura criminosa, tra cui quelli compiuti da attivisti di una nota ong, recentemente arrestati.

Per fare ciò, serve sostenere le forze dell’ordine “affinché possano svolgere con tranquillità il loro lavoro”, afferma l’avvocato Kufa. Un riferimento alla richiesta del presidente di un’immunità penale per gli atti compiuti dai poliziotti nell’esercizio delle loro funzioni in presenza di una controparte armate. Particolare attenzione sarà data dunque “ai reati di corruzione, narcotraffico e terrorismo”. Per concludere viene citata la difesa del libero mercato, della proprietà privata e del lavoro, che per Alleanza per il Brasile significa ripudiare socialismo e comunismo.

“Il partito promuoverà la protezione della libera iniziativa economica e difenderà il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del libero mercato, e della proprietà privata e delle conseguente responsabilità dei mezzi di produzione e della libera creatività umana nel settore dell’economia”.

Insomma, un po’ di sano reaganismo in conformità con le idee economiche del ministro delle Finanze Paulo Guedes, proveniente dalla liberista Scuola di Chicago. Al netto di uscite politicamente scorrette solo per i canoni della sinistra europea – che non riescono a comprendere il populismo europeo figuriamoci quello ben più antico latinoamericano – anche il conservatore Bolsonaro risulta vittima dell’etichetta di fascista e non se ne comprende ancora il motivo.

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