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Il razzismo spiegato a Erri De Luca

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“Chi giudica cosa è razzismo?”

Con questo pensiero originale – per niente, visto che ce lo facciamo tutti da tempo e ce lo siamo chiesto anche di recente con l’istituzione di una commissione parlamentare pericolosamente censoria – comincia qualche giorno fa il suo articolo Erri De Luca, chiamato a suo dire in soccorso dalla redazione di Repubblica per spiegare a Matteo Salvini cos’è il razzismo, morbo incurabile dal quale l’autore lo bolla quale inappellabilmente affetto.

Il ragionamento di De Luca parte subito in volata con il solito subdolo modo di fare di sottintendere qualcosa, nello specifico insinuare un dubbio sulla capacità di intendere di Salvini scrivendo “volontà di intendere”, ma attribuendo in realtà un dolo alla manchevolezza di Salvini nel capire. Giochini di parole.

Nel periodo successivo De Luca gli consiglia di consultare un dizionario, dandogli così anche dell’ignorante, ma sempre sottintendendo, al solito.

Poi scrive di razze e campanilismi e avversioni basate su appartenenze territoriali, tirando in ballo la storia e i suoi famigerati cartelli “non si affitta ai napoletani”, evocando, ancora subliminalmente, quella Lega Nord dei tempi che furono e il suo “disprezzo puro” per i meridionali come lui. Che però era ospite e non affittuario, elevandosi quindi in virtù di un supposto status forse più intellettuale dalla massa informe dei cosiddetti terroni. Sottolineiamo quell’uso della parola “puro”, che accostato a “razza” indica la sapienza nel maneggiare il sub limine in un testo in stile “bevi Coca Cola, ti fa bene”.

Razzismo per De Luca è quindi un sentimento per sua stessa natura vigliacco che attinge la sua forza dalla superiorità numerica. Cioè: Salvini ha un cospicuo seguito di cittadini elettori – e vigliacchi – che si sentono forti nel numero e quindi, sub limine e sillogismo quasi perfetto, tutti i leghisti sono razzisti e i pubblici ufficiali, chiamati in causa senza alcun perché, si sentono superiori. E i lettori di Repubblica assorbono come spugne.

Da lì nazismo, fascismo, monarchia e Ku Klux Klan tutti insieme appassionatamente e, sempre sullo sfondo del subconscio, indirizzati a Lega e Salvini. E ancora, l’accostamento all’Ungheria xenofoba e all’aggettivo “patetico” e agli straordinari forzosi come piaga per la parità tra gli individui, che devono lavorare meno e lavorare e tutti e, lavorando meno, rinunciare sacrificalmente al loro guadagno per cederlo agli immigrati che lavorano nei campi a tre euro l’ora “dall’alba al tramonto”.

E qui pensiamo subito a Quentin Tarantino e ai vampiri di un onirico Titty Trullo del Tavoliere che, assunte le sembianze di demoniaci imprenditori agricoli e caporali assetati di sangue africano per deficit di forza lavoro, necessitano avidamente di schiavi perché gli italiani stanno svaccati in panciolle sul divano col reddito di cittadinanza e un bel mojito ghiacciato. E senza alcuna offerta di lavoro da neanche l’ombra di un tutor per nemmeno tre euro l’ora.

Dopodiché ci informa, come se non lo sapessimo da almeno vent’anni – ma Salvini in quanto povero inetto chiaramente non lo sa perché vive fuori dal mondo reale – che c’è un grande fabbisogno di badanti perché siamo un Paese per vecchi e di vecchi.

Quindi, il messaggio che ci propone il paziente zero dell'”ipocondria frittatista” di sinistra De Luca è: facciamoli venire da fuori per inaugurare anche da noi la casta degli Intoccabili a tre euro l’ora sotto il solleone per delegargli, già che ci siamo, anche le deiezioni dei nostri anziani non autosufficienti.

Dopodiché la tecnica da libretto rosso impone il rovesciamento del punto di vista: è il razzismo che ci fa credere di essere invasi mentre in realtà è l’Italia che si svuota perché ben cinque milioni di Italiani – quelli censiti, aggiungiamo noi – sono scappati all’estero. Sporchi ricchi in “evasione”, altro termine chiaramente evocativo e nuovamente ad uso subliminale.

In chiusura, il tormentone anti liberale e anti cervelli degli altri che sono sempre tutti bacati: Salvini sarebbe in preda ad un disturbo della percezione, in sostanza un povero pazzo da curare.

E con lui l’oltre 30 per cento degli italiani, i quali, pur spiegandogli i sintomi con tecniche subliminali, riga per riga, frase per frase, sono pazienti incurabili.

Ed ecco il capolavoro di De Luca: in conclusione disvela un sentimento di superiorità schiacciante, la sua, basato non sulla biologia, non sull’appartenenza territoriale ma sull’appartenenza politica.

Ecco però anche la riprova che sappiamo leggere e interpretare un testo complesso, che non siamo analfabeti funzionali, che non abbiamo nessun deficit né storico né culturale né cognitivo.

Ecco il suo razzismo spiegato a Erri De Luca.

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