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Il regime iraniano ormai delegittimato e incapace di riformarsi. E i suoi vertici ne sono consapevoli

Il “buon pareggio” di Trump e l’esaurimento nervoso di Macron

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L’11 febbraio la Repubblica Islamica ha celebrato i 41 anni dalla Rivoluzione khomeinista del 1979. Una celebrazione apparentemente in pompa magna, con millioni di persone in piazza e i soliti discorsi di propaganda contro tutto l’Occidente, in primis contro Stati Uniti e Israele.

Come sempre, ovviamente, ci sono dei “però”. Il “però” più importante è quello di cui Atlantico Quodiano ha scritto proprio l’11 febbraio, ovvero il fatto che in questi anni, il regime iraniano sia passato sia agli occhi dei suoi cittadini che a quelli di molti arabi (anche sciiti) in Medio Oriente, da simbolo della liberazione dagli oppressori, ad oppressore a sua volta. Ciò è vero soprattutto agli occhi della terza generazione di giovani iraniani, coloro che non hanno vissuto la rivoluzione e la guerra contro l’Iraq, che oggi si ritrovano istruiti, ma privi di un lavoro e di una speranza per il futuro. Giovanissimi, che vedono i clerici e i Pasdaran come fonte di corruzione e non di liberazione.

Che questo problema sia gravemente avvertito all’interno dell’Iran è dimostrato non solo dalle proteste popolari degli ultimi venti anni – drammaticamente represse nel sangue – ma dallo stesso discorso del presidente Rouhani durante le celebrazioni dell’anniversario della Rivoluzione. Neanche a dirlo, di quello speech i quotidiani occidentali hanno messo in luce solo l’attacco all’America e le frasi su Soleimani (definito da Rouhani come un portatore di pace). In quel discorso c’era però molto ma molto di più.

Il 21 febbraio prossimo, infatti, il popolo iraniano sarà chiamato alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. Come noto, secondo le regole del sistema islamista, chiunque può presentare la sua candidatura per l’organo legislativo, ma per essere ammessi alle elezioni è necessario l’ok del Consiglio dei Guardiani, un organo composto da 12 membri, di fatto alle dirette dipendenze della Guida Suprema e della magistratura. Una istituzione che, in questi anni, si è caratterizzata per aver escluso dal gioco elettorale tutti coloro che non si conformavano ai diktat del regime e che erano considerati pericolosi per la purezza ideologica della Velayat-e Faqih. Anche in vista della prossima tornata elettorale parlamentare, il Consiglio dei Guardiani ha squalificato migliaia di potenziali candidati, considerati troppi vicini alle posizioni riformiste. L’esito di queste squalifiche è quello di aver già dato agli iraniani la percezione che il prossimo Parlamento sarà dominato solamente da conservatori e ultraconservatori, risultando nuovamente incapace di realizzare le aspirazioni di molti giovani elettori. Per questo, secondo alcuni osservatori, tanti tra i componenti della terza generazione di iraniani si appresterebbero a boicottare la tornata elettorale.

Non è un caso quindi che nel discorso di martedì, al di là delle minacce agli Stati Uniti e delle parole su Soleimani, Rouhani si sia concentrato quasi solamente sul concetto di libere elezioni e di partecipazione popolare. Le parole di Rouhani – che non troverete tradotte in inglese, ma solamente nella versione in farsi del discorso – erano evidentemente dirette alla Guida Suprema e ai conservatori, per avvertirli del rischio che, davanti ad elezioni farsa, possano verificarsi nuove e più pericolose proteste di piazza, capaci addirittura di portare alla caduta del regime, così come capitò a quello dello Shah nel 1979.

Parlando davanti alla folla, infatti, Rouhani ha sottolineato che se durante l’epoca dello Shah ci fossero state libere elezioni, la rivoluzione khomeinista non sarebbe mai avvenuta e non sarebbe stata neanche necessaria, perché il popolo avrebbe avuto la possibilità di scegliere e di mandare a casa quel regime corrotto. Per Rouhani, una società che si vuole definire libera, svolge elezioni libere e regolari, in cui le scelte finali sono demandate unicamente alla volontà popolare. Parlando delle stesse forze armate, Rouhani ha detto che esse “lavorano col popolo e agiscono secondo i desideri del popolo”. Una affermazione forte, soprattutto se si pensa che a reprimere le manifestazioni popolari in Iran sono principalmente i Basij, una milizia ai diretti ordini dei Pasdaran. Dunque, indirettamente, Rouhani ha affermato che forze militari che vanno contro il popolo non sono legittimate. Infine, Rouhani ha rimarcato l’importanza dell’unità del popolo iraniano, affermando che lo stare “tutti insieme” è un punto cardine della rivoluzione islamica. Per questo, ha continuato, è fondamentale recarsi alle urne e votare per esprimere la propria scelta. Un altro evidente segno del fatto che il presidente iraniano è pienamente consapevole del rischio che molti giovani iraniani, delusi anche dalle mancate riforme promesse, restino a casa.

Insomma, per quanto possa essere facile raccontare esternamente i problemi del regime iraniano imputando a Trump tutte le colpe, la verità è molto diversa. Come si vede, anche se non viene tradotta in inglese, si tratta di una amara verità che è ben conosciuta dagli stessi vertici del regime. Una verità che racconta di un regime considerato oggi un oppressore, incapace di riformarsi e ormai delegittimato agli occhi di molti dei suoi cittadini.

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