Il rischio della sanzione fine-di-mondo alla Russia: minacciare il “privilegio” del dollaro

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Lentamente, il renminbi potrebbe diventare il dollaro di metà del mondo: quella metà che non si fida più della Fed e della Bce che hanno congelato dollari ed euro alla Russia. E i Paesi mediterranei potrebbero ritrovarsi più comodi dentro un euro debole

Nel primo articolo abbiamo fatto conoscenza con la sanzione fine-di-mondo. Nel secondo abbiamo visto come le contromisure prese da Mosca ne svelino la natura, come misura adatta ad impostare un regime di regolamento delle partite incrociate. Vedremo ora i costi di tutto ciò, in termini di status di valuta di riserva, che rendono piuttosto nervosi i banchieri centrali del dollaro e dell’euro.

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10) Lo status di valuta di riserva – Nel breve periodo, il regime di regolamento delle partite incrociate che abbiamo descritto fa più male al rublo, in quanto maggiore è la quantità immobilizzata di riserve russe che di investimenti occidentali.

Nel medio-lungo periodo, le cose si fanno più complicate. C’è la questioncina della onorabilità delle banche centrali occidentali (di Bce e della Fed e della BoE) in quanto banche depositanti. Tutte loro emettono una valuta di riserva, cioè una valuta tenuta in quantità significative da molti governi terzi come componente delle loro riserve valutarie. Ciò consente alle banche centrali emittenti il privilegio esorbitante di poter emettere una quantità di moneta maggiore di quanta produrrebbe inflazione, per il semplice motivo che parte di essa è trattenuta dai detti governi terzi a titolo di investimento.

In cambio, i governi terzi che comprano quella valuta di riserva, hanno il vantaggio di tenere sottovalutato il proprio cambio nei confronti della stessa, favorendo così le proprie esportazioni. Nel frattempo cumulano un tesoretto (che può in parte trasformarsi in un cosiddetto fondo sovrano d’investimento), il quale può tornare utile in tempi di crisi finanziaria (contagio, calamità, crisi della bilancia dei pagamenti) o sanzioni mirate del tipo che la Russia ha visto dopo il 2014: “esse sono il tuo baluardo – così Adam Tooze – ma ciò presuppone che tu possa accedervi”.

Epperò, che accade se la banca emittente la valuta di riserva, improvvisamente blocca i fondi in essa investiti dalla banca centrale che possiede le quarte riserve valutarie più grandi al mondo, quella russa? E beh, può succedere che quel governo terzo si incazza. Così Kenneth Rogoff, professore alla Harvard University e già FMI e Fed: “quando le persone guardano alle diverse cose che possiamo fare alla Russia, non riescono a riconoscere che non è come attaccare l’Iraq. Questa è una potenza nucleare con capacità informatiche, capacità di guerra biologica”.

Noi non vogliamo essere così pessimisti, anzi confidiamo che il regime di regolamento delle partite incrociate che abbiamo descritto possa evitarci la terza guerra mondiale. Se così sarà, lo stesso accadrebbe che nessun dei restanti governi terzi più si fiderà di investire le proprie riserve in dollari e euro. In altri termini, la banca emittente la valuta di riserva perde il privilegio esorbitante e la sua valuta cessa di essere valuta di riserva. Così ancora Tooze: “cambia totalmente lo status delle riserve valutarie nazionali”. Elabora il Wall Street Journal: “l’intero artificio del denaro come riserva universale di valore rischia di essere eroso … se le riserve valutarie dovessero diventare worthless computer entries e non garantissero l’acquisto di beni essenziali … l’aver convertito il sistema monetario in un’arma puntata contro un Paese del G20, avrà ripercussioni durevoli”. Reuters: “il drammatico congelamento delle attività all’estero della banca centrale russa … potrebbe ora mettere in dubbio l’opportunità stessa di accumulare riserve valutarie”.

11) Un mondo che scambia beni reali o renminbi – Per Reuters, “è un problema potenzialmente enorme per i mercati mondiali, dato che le riserve di valuta estera della banca centrale hanno totalizzato un record di 12,83 trilioni di dollari alla fine del 2021 … questo denaro è detenuto principalmente in titoli e obbligazioni del governo statunitense e di governi europei, con il dollaro che ancora rappresenta quasi il 60 per cento e l’euro circa il 20 per cento”. La questione riguarda chiunque sia anche solo potenzialmente in polemica con l’Occidente. Per limitarci ai più grandi fra loro: la Cina, naturalmente, con riserve per 3.300 miliardi di dollari circa più i 500 di Hong Kong; la Russia stessa che ha fatto 40 miliardi di dollari di attivo commerciale nel solo terzo trimestre 2021; l’India, che non ha seguito le sanzioni.

Che alternative hanno? Il Wsj suggerisce a questi Paesi di aumentare la domanda interna, cioè importare di più e, così, smettere di accumulare riserve valutarie o, addirittura, ridurle. Barry Eichengreen aggiunge che “dovranno accettare l’inevitabilità che i loro tassi di cambio saranno maggiormente variabili. Nel qual caso hanno bisogno di rafforzare i loro sistemi finanziari e le loro economie contro gli shock da tasso di cambio, ad esempio scoraggiando le aziende dal prendere in prestito in valuta estera” e ciò avrà “un profondo impatto sui mercati mondiali” e sul modello di sviluppo. Tuttavia, ciò non risolve il problema di cosa fare con le riserve che, pur ridotte, comunque resteranno. Di nuovo il Wsj: “accumulare commodities” … petrolio, metalli, oro naturalmente, insomma beni reali, la roba.

Tutto ciò vale pure per la Cina. La quale avrebbe sì, dice Jim O’Neill, l’opzione di liberalizzare i propri mercati dei capitali e farsi essa stessa emittente di una moneta di riserva globale. Ma non pare essere aria. Semmai, dice il Wsj, col tempo “andranno rafforzandosi i legami finanziari ed economici tra la Cina e i Paesi sanzionati”, i quali possono accumulare riserve solo in Cina e spenderle solo lì. Sicché, lentamente, il renminbi diventerebbe il dollaro di metà del mondo: quella metà che non si fida più della Fed e della Bce.

Naturalmente, il processo richiederà un tempo assai lungo: le somme in gioco sono enormi, le alternative poche, i flussi commerciali vanno nelle direzioni nelle quali vanno, il vantaggio di una moneta sottovalutata è grande. Ma, è un processo che, una volta innescato, praticamente è impossibile da fermare. Ed esso comporta per Fed e Bce un costo non ingente, ma di più: gigantesco, biblico, memorabile alla scala della storia.

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12) Le banche centrali europee – Chi se ne è reso conto senz’altro, sono i banchieri centrali, che queste cose le sanno. Loro che dicono?

Alla Banca d’Inghilterra-BoE fanno festa: “in una dichiarazione congiunta il ministro delle finanze britannico Rishi Sunak e il governatore della Banca d’Inghilterra Andrew Bailey hanno affermato di essere determinati a imporre i costi più alti alla Russia per la sua invasione dell’Ucraina”, eppoi il governatore ha aggiunto: “la Banca d’Inghilterra continua ad intraprendere qualsiasi azione necessaria a sostenere la risposta del governo all’invasione russa dell’Ucraina”. E va bene, uno pensa, agli inglesi piace combattere: the British Bulldog. Può darsi. Ma può pure darsi che a Londra non siano tanto preoccupati che la sterlina perda lo status di valuta di riserva … visto che lo ha già perso tanti anni fa. E che siano meno preoccupati di stampar moneta in tempo di inflazione … assai meno dei tedeschi di Bce comunque.

Di Bce non è dato sapere. Vabbè hanno organizzato un concerto di beneficenza, ma non parlano. L’ultimo comunicato è del 25 febbraio: “Bce attuerà le sanzioni decise dall’Ue e dai governi europei”. E tante grazie, ma su quelle relative alle riserve valutarie, decise dopo, silenzio. Non solo, pure un tocco di preoccupazione: “Bce garantirà condizioni di liquidità fluide e accesso dei cittadini al contante”. E ancora tante grazie, ma perché dirlo? Evidentemente, c’è preoccupazione.

13) La Fed – Inizialmente ancor più muta la Fed americana la quale non ha proferito verbo sinché non è stata costretta, in una audizione già programmata alla Camera dei Rappresentanti. Qui, Jerome Powell delle sanzioni si è lavato le mani: “vorrei sottolineare che la Fed non impone sanzioni ad altri Paesi … davvero è un lavoro dell’amministrazione, in particolare del Dipartimento del Tesoro”. Poi ancora più forte, “non le progettiamo, non le implementiamo” we don’t implement them: infatti, lo abbiamo visto, non si tratta di un provvedimento di sequestro (che avrebbe dovuto essere implementato anche dalla Fed), bensì di un divieto ad operare con tre (negli Usa quattro) istituzioni russe. Divieto che immaginiamo valere pure per la Fed (nel qual caso egli starebbe giocando con le parole nel considerare l’inazione come una forma di implementazione) perché, altrimenti, saremmo di fronte ad una grossa sorpresa.

Powell si è pure espresso sugli effetti delle sanzioni. Nel breve termine “non ci dovrebbero essere effetti diretti sull’economia statunitense. È difficile pensare quali potrebbero essere gli effetti indiretti”. Nel lungo termine, invece, è tutta un’altra storia: ciò che Powell ha detto fra le righe interrogato sullo status di riserva internazionale del dollaro. Andiamo con ordine: (a) Premessa, “traiamo vantaggio dall’essere la principale valuta di riserva mondiale”, ovviamente. (b) Il dollaro è valuta di riserva “perché abbiamo libera circolazione del capitale in uno stato di diritto e abbiamo l’inflazione sotto controllo su una lunga media temporale. In modo che il dollaro conservi il suo valore e quindi i nostri mercati siano i più liquidi ed è il posto dove le persone vogliono essere”, the place where people want to be. (c) Un domani, un altro Paese potrebbe fare lo stesso, “per sostituire il dollaro come valuta di riserva, si deve essere un luogo molto attraente per chi deve depositare grandi quantità di riserve”, a very attractive place to hold large amounts of reserves. (d) Nel qual caso, pure il dollaro resterà valuta di riserva, “fintanto che osserviamo lo stato di diritto e manteniamo l’inflazione bassa e prevedibile, il dollaro rimarrà valuta di riserva”. (e) Nel senso che ve ne saranno almeno due, “è anche possibile avere più di una grande valuta di riserva e ci sono stati momenti in cui è stato così. E quindi, non è proprio chiaro”. (f) Con effetti negativi per gli Usa, “se alcuni vogliono allontanarsi dal dollaro, quale sarà l’effetto su di noi? … Non ci sarebbe alcun effetto a breve termine. Nel tempo, però, suppongo, diminuirebbe il nostro status di valuta di riserva”. Insomma (g), esplicitamente Powell sta dicendo che nessuna altra grande economia può avere la libera circolazione del capitale e lo stato di diritto e la bassa inflazione che hanno gli Usa.

Ma il suo discorso può essere letto pure in negativo. Nel qual caso egli avrebbe implicitamente detto che le sanzioni (le quali bloccano la libera circolazione del capitale russo, trasformano il precedente stato di diritto, aumentano l’inflazione globale) potrebbero mettere a rischio lo status di riserva del dollaro.

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14) I governi – Dice Adam Tooze, che i governi d’Occidente non hanno avuto il tempo di pensarci: “nessuno ne discuteva seriamente come opzione, perché è esplosiva, è l’opzione nucleare”. Ma non è vero, in quanto sappiamo che della invasione dell’Ucraina gli Usa erano certi da mesi e che ne avevano discusso con gli europei. Come sappiamo che delle sanzioni poi imposte essi discutevano da settimane almeno. Quindi, la ricostruzione deve essere diversa.

La più malevola ci viene suggerita dal discorso di Draghi, il 1° marzo in Parlamento. Delle sanzioni egli non solo si compiace assai, ma persino si lamenta che al congelamento sia sfuggita quella parte delle riserve russe depositate presso la Banca dei Regolamenti Internazionali. La stessa indifferenza troviamo nei rari interventi sulla questione nella stampa italiana: Masciandaro ad esempio, il quale è tutto felice pure lui che “il congelamento delle attività della banca centrale” russa all’estero renda la sua azione di politica monetaria “ancor più ardua”, ebbasta. Perché?

Uno, in quanto l’Italia ha una esposizione enorme verso la Russia: o se la fa rimborsare usando le riserve valutarie russe congelate, oppure un sacco di società e banche avranno davvero tanti problemi. Ma lo stesso vale per tanti altri governi, i quali potrebbero aver dato retta alle proprie imprese e banche commerciali: vogliamo indietro i nostri soldi. Per poi applicare in modo piuttosto schematico il modello già usato per l’Afghanistan (e Siria, Venezuela, Iran). Che si tratti, insomma, di ragionieri molto mal assistiti dai propri banchieri centrali.

Due, in quanto all’Italia non importa davvero nulla dello status di riserva internazionale dell’euro: le riserve valutarie russe e cinesi (e svizzere) sono investite in titoli ad alto rating, quindi non nei Btp. Anzi, esse sono una delle vere cause del mitico spread: quindi, paradossalmente, è come se Draghi sacrificasse l’euro forte sull’altare dell’unione monetaria. In altri termini, starebbe contribuendo a fabbricare un euro debole, dove noi Mediterranei staremmo più comodi.

I tedeschi no, naturalmente. Ma questa è un’altra storia.

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