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Tre guerre in una: ecco la sanzione fine-di-mondo che può far male alla Russia (ma non sappiamo quanto)

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1) Tre guerre in una guerra – La guerra in Ucraina prosegue con l’avanzata dell’esercito russo. Che ha interrotto il traffico marittimo ucraino (oltre metà del commercio estero totale), sta chiudendo nelle sacche la capitale Kiev, la seconda città Kharkov, Mariupol, parecchi centri minori e, soprattutto, sta chiudendo una prima tenaglia sull’esercito ucraino del Donbass: 10-12 brigate fra quelle più motivate ed addestrate. Dopodiché, si suppone esso chiuda una seconda tenaglia fra Odessa e Kiev, lasciando fuori solo l’Ucraina occidentale. Nel mentre, sta prendendo il controllo delle infrastrutture, come già una centrale nucleare. Sicché, le città isolate potrebbero arrendersi per esaurimento ovvero, in taluni casi, venir prese d’assalto.

L’Ucraina occidentale (dove potrebbe rifugiarsi il governo ucraino se decidesse di uscire da Kiev e dove giungono le armi occidentali), se mai fosse in grado di formare un esercito di soccorso, dovrebbe lanciarlo verso Kiev a combattere quella che sarebbe l’ultima battaglia di una guerra classica. Plausibilmente una vittoria russa. Poi comincerebbe un’altra storia.

Tutto ciò, ammesso che i russi abbiano il tempo necessario per portare a termine la loro guerra. Ed è per questo che il mestiere dei loro nemici è negare ai russi questo tempo. Parleremo qui di guerra economica alla guerra in Ucraina.

Nel deprecato caso ciò non si rivelasse possibile e i russi avessero il tempo di vincere la guerra in Ucraina, ebbene allora il mestiere dei loro nemici diverrebbe far sì che tale vittoria tattica non si trasformi in strategica, anzi che si trasformi in una sconfitta strategica (“we, the leaders of the European Commission, France, Germany, Italy, the United Kingdom, Canada, and the United States … will … collectively ensure that this war is a strategic failure for Putin”, così recita un Joint Statement del 26 febbraio). Parleremo qui di guerra economica permanente con la Russia (della quale abbiamo scritto).

Giudichi il lettore quale dei due scenari sia il più probabile. Certamente, l’Occidente si sta preparando al peggiore. Martedì Biden ha promesso mera assistenza ed ammesso che Putin potrà “fare guadagni sul campo di battaglia … circondare Kiev di carri armati”, pur consolandosi asserendo che la Russia “non conquisterà mai i cuori e le anime del popolo ucraino” grazie alla “volontà di ferro” di quest’ultimo. È il preannuncio di una sconfitta nella guerra economica alla guerra in Ucraina. Epperò, continua Biden, se è vero che Putin “può ottenere guadagni sul campo di battaglia, egli pagherà un prezzo sempre alto nel lungo periodo … nella battaglia tra democrazia e autocrazia, oggi le democrazie si stanno rialzando e il mondo sta chiaramente scegliendo … Questa è una vera prova”. Questa, cioè la guerra economica permanente con la Russia … non la guerra economica alla guerra in Ucraina che egli da per persa. Quanto agli ucraini, “continuiamo a trarre ispirazione” da loro. Amen.

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2) Le prime sanzioni – Stati Uniti d’America e Paesi alleati hanno imposto alla Russia diverse sanzioni. Prendiamo la Ue la quale, il 23 febbraio aveva annunciato sanzioni ad personam e “un divieto settoriale di finanziamento della Federazione russa, del suo governo e della sua Banca centrale”. Il 25 febbraio (oltre a limitare i visti e il trasferimento tecnologico in alcuni settori industriali) ha aggiunto un divieto a “la quotazione e la prestazione di servizi concernenti le azioni di entità statali russe nelle sedi di negoziazione dell’Ue”. Tali limitazioni, la Ue dichiarava, “aumenteranno i costi di finanziamento della Russia, faranno salire l’inflazione ed eroderanno gradualmente la base industriale del Paese”. E, in effetti, insieme i due provvedimenti negavano allo Stato ed alle aziende russe di finanziarsi emettendo debito o equity, il che può essere grave per un singolo emittente o per un Paese con un forte indebitamento estero netto.

Purtroppissimo, la Russia ha riserve valutarie per circa 630 miliardi di dollari, le quarte più grandi al mondo e un debito estero netto negativo pari a circa 450 miliardi di dollari. Le riserve valutarie russe corrispondendo a quei depositi di moneta straniera controllati dallo Stato russo, rivenienti dagli attivi pluriennali di bilancia commerciale. Questi ultimi pure in crescita visto che – ricorda Scaroni – “le entrate per metro cubo di gas si sono moltiplicate per nove in un anno” per colpa delle politiche gretine, “lanciate in modo troppo improvvisato”. Sicché, a qualunque bisogno di finanziamento o rifinanziamento in valuta, può sempre sopperire la banca centrale. Neutralizzando le precedenti sanzioni. Che fare?

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3) Le riserve valutarie – Un primo sistema sarebbe accelerare la fuga dei capitali: incitare e favorire i russi che volessero cambiare i propri rubli in dollari-euro-sterline, il che certamente ridurrebbe le dette riserve ufficiali. Ma l’Occidente non ha voluto seguire tale strada. Lo si era capito fin dal 25, quando la Ue aveva annunciato un provvedimento addirittura ostativo della fuga dei capitali: il divieto alla “accettazione di depositi, superiori a determinati importi, di cittadini o residenti russi, la tenuta di conti di clienti russi da parte dei depositari centrali di titoli dell’Ue e la vendita di titoli denominati in euro a clienti russi”. Laddove è evidente che se un cittadino russo fa scappare i propri soldi da Mosca a Londra, deve pure depositarli su un conto … ciò che la Ue, ipso facto, gli rende impossibile. Senza contare che la giustificazione ufficiale di tali provvedimenti è “evitare che le ricchezze dell’élite russa siano occultate in paradisi sicuri in Europa”, anzi andare proprio a caccia di tali ricchezze, come hanno scandito Biden (“Russian oligarchs and corrupt leaders … we are coming for your ill-begotten gains”) e Le Maire (“identificheremo tutte le persone russe che hanno una proprietà in Francia che potrebbero essere aggiunte all’elenco delle sanzioni europee a causa dei loro legami con le autorità russe. Ci doteremo di mezzi legali per sequestrare tutte le loro proprietà”). Di nuovo, le sanzioni scoraggiano la fuga dei capitali russi. A che fine?

Un secondo sistema sarebbe interrompere gli acquisti di gas e petrolio da Mosca. Ciò che terrorizza Scaroni (“se per ipotesi dovessimo restare senza gas russo per dodici mesi di fila le difficoltà diventerebbero drammatiche”) ed eccita Davide Serra (“lo Zar farà bancarotta? Certo. Presto il suo unico asset, gli idrocarburi, non varranno nulla. Li venderà a Cina e Corea del Nord a basso prezzo”). Eppure le sanzioni non riguardano le importazioni energetiche. Perché?

In entrambi i casi, la ragione è che le riserve ufficiali russe sono troppo elevate per essere intaccate seriamente da una fuga dei capitali o, comunque, ci sarebbe voluto troppo tempo. Invero, un Paese con un debito estero netto fortemente negativo, può serenamente imporre il controllo ai movimenti dei capitali rinunciando ad accedere ai mercati finanziari internazionali e persino ad una parte importante dell’export. Così Lavrov: “è ora che i Paesi occidentali capiscano che il loro dominio indiviso nell’economia globale è da tempo cosa del passato”.

Ma che accade se vengono improvvisamente sottratti i crediti rappresentati dalle riserve ufficiali? Accade che il debito estero netto da negativo torna positivo e la superpotenza economica improvvisamente si trasforma in uno stato debitore. Ecco che fare.

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4) Le sanzioni fine-di-mondo – Eureka! deve aver esclamato un Archimede in qualche segreta stanza, ho trovato. Se la forza della Russia sono le sue riserve valutarie, è inutile girarci intorno, tanto vale puntare al bersaglio grosso: colpiamo le riserve valutarie. E così si è giunti al vero salto di qualità, annunciato il 26 febbraio con il menzionato Joint Statement USA-EU-FR-GE-IT-UK-CN. Sì, va bene, la esclusione di alcune banche dal sistema SWIFT di comunicazioni interbancarie. Ma la ciccia: “ci impegniamo a imporre misure restrittive che impediscano alla Banca centrale russa di dispiegare le proprie riserve internazionali in modi che minano l’impatto delle nostre sanzioni”. Veramente una arma fine-di-mondo.

Quanti di questi 630 miliardi siano stati raggiunti dalle sanzioni, è un mistero. Il 17 febbraio Borrell Josep disse “metà” (circa 300), il 1° marzo Draghi disse nessuno: “non c’è quasi più nulla, è stato portato via tutto”, il 2 marzo Davide Serra disse “400 sono in Germania, bloccati”. Nell’attesa che due dei tre si dimettano, ci affidiamo a Chris Marsh, il quale scrive che di quei 300, 150 potrebbero essere presso la Banca dei regolamenti internazionali-Bri. La quale non partecipa alle sanzioni, come ha precisato sempre il 1° marzo lo stesso Draghi. Quindi, dei 630 miliardi, 150-180 mal contati sono stati raggiunti dalle sanzioni. Ma sono numeri al lotto.

Tale sanzione fine-di-mondo è stata implementata dalla Von der Leyen, con anticipazione lo stesso 26 febbraio e provvedimenti il 28. Sì, va bene, la Ue ha aggiunto i menzionati aiuti militari ed il divieto di sorvolo. Ma la ciccia: la Ue ha “vietato di effettuare transazioni con la Banca centrale russa o qualsiasi persona giuridica, entità o organismo che agisca per conto o sotto la direzione della Banca centrale russa”. Lo stesso giorno, la stampa del Giappone riferiva che quella banca centrale “congelerà le attività denominate in yen che detiene per la Russia, onde impedire che vengano rimpatriate o inviate ad altre istituzioni finanziarie”. Londra (che, col Canada, ha negato pure l’accesso ai porti) ha annunciato di voler “vietare a qualsiasi persona fisica o giuridica del Regno Unito l’intraprendere transazioni finanziarie che coinvolgano la Banca centrale russa, il Russian National Wealth Fund e il Ministero delle finanze della Federazione Russa”, specificando che sono incluse le attività di clearing. Il Tesoro Usa, Canada e Gran Bretagna hanno aggiunto pure il Russian Direct Investment Fund-RDIF.

Noti il lettore la sottigliezza: non si tratta di un provvedimento di sequestro rivolto alle tre istituzioni russe, bensì di un divieto ad operare con queste ultime, rivolto a qualsiasi altro operatore. Il che è lo stesso, ai fini pratici, ma apparentemente nega alle tre istituzioni russe la legittimazione ad agire e, così, ostacola un loro ricorso di fronte ad un tribunale. Ad esempio, se Mosca vende gas per 100 dollari, e quei 100 dollari sono stati investiti in titoli di Stato americani su una banca londinese, questi ultimi non potranno essere venduti ed i 100 essere usati per comprare rubli e sostenere il cambio.

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5) La durata delle sanzioni di fine-di-mondo – Significativamente le riserve valutarie russe, tutte e univocamente, sono definite da Biden “war fund”, da Reuters “war chest”: forziere di guerra: secondo il dizionario Merriam-Webster “fondi accumulati per la guerra”. Tutte e univocamente, a prescindere dal fatto che derivino da attivi commerciali più che leciti, anzi guadagnati commerciando con gli stessi Paesi che oggi le sequestrano; e a prescindere dal fatto che siano destinate a comprare, per dire, giocattoli e mobili anziché armi (che la Russia non importa). Allora, in che senso forziere di guerra? Di quale guerra?

La Ue ha detto, “aumenteranno i costi di finanziamento della Russia, faranno salire l’inflazione”, il che si può effettivamente ottenere facendo scendere il rublo. Obiettivo più sinceramente ammesso dal Tesoro Usa: “interromperà i tentativi della Russia di sostenere la propria valuta in rapido deprezzamento, limitando … l’accesso alle riserve che la Russia potrebbe tentare di scambiare per sostenere il rublo”. Ma far scendere il rublo non è direttamente un obiettivo di guerra …  a meno che per guerra si intenda, non la guerra in Ucraina, ma una guerra economica. Insomma, le riserve valutarie russe sono sì un forziere di guerra, ma non della guerra in Ucraina, bensì prima della guerra economica alla guerra in Ucraina e, dopo, della guerra economica permanente con la Russia.

Il ministro francese Le Maire vuole condurre la “guerra totale economica e finanziaria” contro la Russia, che provocherà “il collasso dell’economia russa”. Anche se poi fa una parziale marcia indietro e non dice se quest’ultimo sia lo scopo, né sul punto va la replica di Medvedev. Londra intende tenere bloccate le riserve valutarie russe “so long as this conflict persists, finché questo conflitto persiste. La Ue didascalicamente precisa: “la Russia cessi immediatamente le sue azioni militari, ritiri senza condizioni tutte le forze e le attrezzature militari dall’intero territorio dell’Ucraina e rispetti pienamente l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale”.

Perciò, this conflict non terminerà affatto con la fine della guerra in Ucraina. Intanto è improbabile che Zelenskiy accetterà mai le condizioni russe di un trattato che sancisca la cessione della Crimea, la smilitarizzazione e la finlandizzazione: la richiesta di aderire alla Nato ed alla Ue è ciò che tiene insieme i suoi sostenitori ed egli, quindi, preferirà costituire un governo in esilio. Se pure lui stesso o qualcuno per lui capitolasse, lo stesso this conflict continuerà, sulla base dell’osservazione che non si sarà trattato né di scelta volontaria (pare Mosca pretenda un referendum di ratifica il quale, force des choses, non potrà che essere condotto sotto occupazione), né di vera neutralità bensì fittizia (invero una sorta di seconda Bielorussia).

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Insomma, l’Ucraina è solo il primo dei campi di battaglia. Vedremo nel prossimo articolo come Mosca stia rispondendo alla sanzione fine-di-mondo. E cosa potrebbe ancora accadere.

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