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Nuovo braccio di ferro con l’Ue sul Nord Irlanda: la grande sfida di BoJo è tenere integro il Regno

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Il prepotente ritorno alla ribalta del Protocollo nordirlandese – per pure casualità in contemporanea con le polemiche su AstraZeneca – ha riproposto un Boris Johnson nuovamente assertivo, pronto a tutto pur di difendere l’integrità territoriale del Regno Unito. Nelle discussioni con i leader dell’Unione europea a Carbis Bay – magnifica sede del G7 – Johnson è arrivato perfino a ipotizzare l’utilizzo dell’articolo 16 del Protocollo, quello che consente la rescissione unilaterale da parte di uno dei contraenti. L’infelice uscita del presidente francese Macron (“Ulster non è parte del Regno Unito”) non ha certo favorito un atteggiamento più conciliante da parte del leader Tory. 

Perché si è arrivati a questo punto, sei mesi dopo la Brexit? Bruxelles accusa il governo Tory di giocare sporco e di non effettuare i controlli dovuti alle merci nel mare d’Irlanda come previsto dall’intesa, che prevede che in alcuni settori Belfast continui a essere regolata dalla norme dell’Unione. In verità, era stata la stessa Commissione europea a violare palesemente il Protocollo, quando, lo scorso inverno aveva annunciato il blocco delle dosi di vaccino destinate all’Ulster senza nemmeno notificare la decisione a Johnson e al suo pari grado di Dublino, Martin. Un fatto ancor più grave se si tiene conto che l’Eire è un Paese membro dell’Ue a tutti gli effetti e che ha portato addirittura i separatisti del Sinn Fein a solidarizzare con Londra.

Johnson sa che il suo compito più impervio in questi anni sarà quello di mantenere l’integrità territoriale del Regno Unito, minacciata dal secessionismo scozzese e dalle spinte, ormai pluridecennali, verso un’Irlanda unita. Un mezzo per non passare alla storia come il premier che ha visto Edimburgo e Belfast salutare Londra è quello di legare ancor di più le economie delle home nations a quella inglese e arrivare a uniformare il più possibile il mercato interno, messo sotto pressione dall’accordo per la Brexit del dicembre 2020. Già l’Internal Market Bill, presentato a fine estate 2020 ai Comuni, aveva causato la reazione piccata di Bruxelles, che aveva minacciato di adire alle vie legali – tipica postura bruxellese – nei confronti di Londra per il mancato rispetto di un accordo internazionale. Di lì a poco le cose si appianarono con un accordo transitorio ottenuto nella nuova Commissione Paritaria UK-UE, e che ha visto tra i suoi protagonisti il vicepresidente della Commissione Sefcovic e il delegato del governo britannico Michael Gove. Ora, forse per metterlo al riparo da una questione spinosa, Gove non si occupa più di Bruxelles, e il suo posto è finito tra le mani di Lord Frost, già capo-negoziatore UK per l’accordo sul Brexit.

Il problema del controllo delle merci al confine tra Regno Unito e Ulster interessa anche Washington, naturalmente. Tutte le parti in causa si sono affrettate a sostenere che qualsiasi soluzione non deve mettere in pericolo la pace in Nord Irlanda, portata a termine dagli Accordi del Venerdì Santo del 1998 sotto la supervisione dell’amministrazione democratica di Bill Clinton e del suo inviato per l’Ulster, il senatore Mitchell. Biden, che conosce bene la questione, l’ha sollevata nel bilaterale con Johnson al suo arrivo in Cornovaglia e anche il suo consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan, si è detto preoccupato.

Se Johnson si è detto favorevole a una soluzione “pratica” della questione, che rischia di mettere a repentaglio il passaggio della carne refrigerata dallo UK all’Ulster, e che i tabloid – reminiscenti di un episodio della serie tv Yes, Minister – hanno chiamato la “guerra della salsiccia”, da parte della Commissione sembra prevalere un approccio punitivo, che lo stesso Johnson ha definito “purista”.

Se nella sitcom il Minister utilizzava la guerra di Bruxelles contro la salsiccia inglese per la sua ascesa al ruolo di primo ministro, c’è da scommettere che un animale politico come Johnson non perderà la ghiotta occasione per diventare il paladino di tutti gli inglesi nei confronti delle angherie – vere o presunte – messe in campo dalla Commissione europea.

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