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Le elezioni iraniane e le vacche tutte nere

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Le elezioni iraniane ci consegnano un quadro torbido e desolante (non che ci si potesse aspettare di meglio). Per l’ennesima volta il regime sta dando uno spettacolo a dir poco grottesco. Siamo nuovamente in presenza di un Parlamento controllato dal clero sciita del Giureconsulto, dove la “Guida Religiosa Suprema”, incarnata nella figura di Khamenei, la fa da padrone nell’applicazione del velayat e-faqui, un sistema che garantisce la perfetta identificazione tra politica e religione.

Niente riformismo, e tanto meno si può parlare di moderati in una nazione dove la dittatura islamica instaurata da Khomeini regna da 40 anni; un sistema dove tutte le istituzioni sono sotto il tacco del clero sciita, detto Consiglio dei Guardiani, questi scelgono i candidati sulla base della loro fedeltà “senza riserve” al leader supremo Ali Khamenei. 

Da parte sua la popolazione è in rivolta da tempo, dal 2017 sono state organizzate quattro grandi rivolte nazionali per ottenere un cambio di regime. Nel novembre del 2019, 1.500 manifestanti sono stati uccisi dal Corpo delle Guardie Rivoluzionarie (IRGC). A gennaio 2020 folle di persone, in particolare giovani, si sono nuovamente riversate nelle strade gridando “Morte all’oppressore, che si tratti dello scià o della Guida Suprema”. La gente ha gridato: “Integralisti e riformisti siete la stessa cosa, il gioco è finito”. 

Questi eventi sanciscono la debolezza di un regime che si sente fortemente minacciato, che se non fosse lasciato libero dall’Europa di commettere crimini, potrebbe essere ad un passo dalla capitolazione. La presidente della Resistenza iraniana Maryam Rajavi nel corso degli anni ha dichiarato più volte e senza riserve che basterebbe interrompere i rapporti economici con l’Iran per sostenere le rivolte e far si che gli iraniani possano liberarsi dalla dittatura. Khamenei percepisce ormai come rivale perfino la propria fazione, questo a causa dei dissidi interni pur nella fedeltà al leader supremo. 

La situazione è così destabilizzata che Hassan Rouhani ha dichiarato pubblicamente che le elezioni “cerimoniali” sono da considerarsi delle “selezioni”, e che il voto è un “dovere religioso”. Questo con buona pace degli azzeccagarbugli occidentali che blaterano di riformismo e apertura al cambiamento da anni, operazione questa che serve unicamente a diffondere informazione scorretta e a confondere le idee all’opinione pubblica.

Da parte sua la presidente della Resistenza Maryam Rajavi ha invitato il popolo a boicottare le elezioni disertando i seggi. Secondo i rapporti, in migliaia di collegi elettorali a livello nazionale, tra cui Teheran, Karaj, Shahriar, Robat Karim, Islamshahr, Qods, Isfahan, Baharestan, Najafabad, Golpaygan, Zarinshahr, Yazdanshahr, Lamerd, Dasht-e Arjan, Firouzabad, Zahedan, Sonqor, Neyshabour, Mashhad, Shahr-e Kord, Kazeroun, Dalahou, Hamedan, Kermanshah, Qazvin, Alvand, Na’ein, Yazd, Yassouj, Malayer, Rasht, Sari, Nowshahr, Babol, Babolsar, Tabriz, Miyaneh, Daylaman, Shush Behbehan, Bukan, Azadshahr, Khorramabad, Kouhdasht, Semnan, Qeshm Island e Bandar Kangan, il popolo iraniano ha completamente boicottato la mascherata elettorale dei mullah.

Fino alle 12 ora locale, quattro ore dopo l’inizio delle votazioni, c’erano solo una manciata di elettori nei seggi elettorali. Nel tentativo di mostrare grandi folle, il regime ha accompagnato il personale dei Pasdaran, dell’esercito e della Forza di sicurezza dello stato a una serie di seggi. Per preparare il terreno per la frode astronomica, il regime ha rimosso il requisito delle impronte digitali prima di votare.

Ieri quando hanno espresso il loro voto, i leader del regime, tra cui Ali Khamenei, Hassan Rouhani, il ministro degli interni Abdolreza Rahmani Fazli, il presidente del Parlamento Ali Larijani e Javad Zarif, hanno nuovamente fatto appello al popolo affinché votasse.

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