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L’ecofascismo di Pentti Linkola: ecco fino a dove rischiano di portarci gli ecologisti gretini

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Ritratto di un “deep ecologist” radicale, ispirato a forme estreme di darwinismo sociale e di anti-natalismo. Utile per comprendere dove certe derive concettuali e parole d’ordine possano portare quando si decide di far prevalere un astrattissimo ‘ambiente’ sull’umano. La negazione della vita umana, vista come parassitaria rispetto all’ambiente

Theodore John Kaczynski, Unabomber, nel 2014 tentò di contattarlo per instaurare con lui una corrispondenza filosofica epistolare. Ma nel gelo del suo Settentrione, disperso tra laghi, venti e un mare cupo e insondabile come quello delle pagine di un romanzo di Knut Hamsun, il filosofo, pescatore e ornitologo finlandese Pentti Linkola, nato nel 1932 e scomparso nel 2020, figlio del Rettore storico dell’Università di Helsinki, decise che quella missiva non meritava risposta. Linkola, semplicemente, non replicava ad alcuna lettera che fosse scritta in inglese.

Quando il liceo finlandese Jokela venne, nel 2007, sconvolto da una strage, con otto studenti ammazzati a colpi di fucile e di pistola, in una tragica reiterazione di quelle stragi nelle scuole che da Columbine al Virginia Tech hanno punteggiato la storia recente americana e il dibattito sul possesso delle armi da fuoco, l’assassino indicò in Linkola una delle sue principali fonti di ispirazione concettuale.

“Humanity is overrated”. L’umanità è sopravvalutata, può leggersi sulla maglietta indossata dall’assasino che in posa marziale, con due pistole nelle mani, ha registrato un video prima della strage in cui finì per morire lui stesso.

Intervistato dai mass media finlandesi, su come ci si sentisse a essere stato ritenuto ispiratore morale di un atto così eclatante e atroce e in generale su cosa pensasse della carneficina, Linkola, serafico e senza scomporsi, rispose, come ricorda Joseph Christian Greer dalle pagine di “Environmental ethics”, che i morti erano troppo pochi e che sarebbe stato necessario al contrario creare un movimento per proporre forme più ampie di de-popolazione.

Ci sono eccellenti possibilità che i manifestanti ecologisti del Cop26 e quelli dei Fridays for Future che entusiasticamente seguono Greta e anche quelli più radicali di Extinction/Rebellion Linkola nemmeno lo abbiano mai sentito nominare. Un pasto indigesto persino per molti apologeti della ‘deep ecology’, nonostante alcuni concetti comuni vi siano.

Assurto a qualche celebrità nell’underground contro-culturale statunitense proprio a causa del suo essere reiteratamente associato alle stragi nelle scuole, per il suo spartano e solitario stile di vita, essendosi ritirato a fare il pescatore, e per il suo corrosivo pensiero articolato in vari libri e articoli, Linkola iniziò a esondare dal limitato perimetro della Finlandia, con qualche inizialmente sparuta traduzione in inglese dei suoi testi.

Nella Anglosfera, Linkola ci finì per l’intraprendenza folle del compianto editore Adam Parfrey, proprietario della Feral House, che decise di includere un suo articolo, “Diluvio umano”, nel secondo volume di “Apocalypse Culture”, autentica samizdat del pensiero inaccettabile e radicale.

In seguito, venne tradotto e pubblicato il suo volume “Can life prevail?”, dalla Arktos Media nel 2009, ed è in previsione per fine 2021 la riedizione del volume, espansa e rivisitata. La Arktos, peraltro, sul proprio sito ospita due scritti in inglese del filosofo finlandese.

A livello concettuale, e a differenza di Unabomber che pure voleva contattarlo e discutere con lui, Linkola si dimostra un deep ecologist radicale, ispirato a forme estreme di darwinismo sociale e di anti-natalismo.

La sua filosofia potrebbe essere sintetizzata ricorrendo alla metafora del naufragio di una nave, molto cara a Linkola; in quei momenti, la vita si dimostra crudele, brutale e del tutto esulante da qualunque canone di civilizzazione, di solidarietà e di amore per gli altri.

L’avversione per l’umanitarismo, secondo Linkola, è l’unico antidoto che può salvare la nave in balia delle onde e del mare, perché se per sopravvivere sarà necessario calpestare o tagliare le braccia di chi si ostina ad aggrapparsi alla chiglia o occupa in eccesso le scialuppe di salvataggio, allora sarà necessario farlo.

A differenza di Unabomber che nel suo famigerato Manifesto si dimostra tendenzialmente preoccupato per l’impatto sociale della tecnologia, Linkola si oppone all’incisione della tecnica sull’ecosistema e sull’ambiente.

Ma la differenza più radicale si situa nella considerazione delle libertà individuali: mentre Kaczynski si dimostra in certa misura un ‘patriota costituzionale’ tipicamente americano, ovvero anti-governo e contro le restrizioni imposte dallo Stato alle libertà di qualunque genere dell’individuo, Linkola sostiene qualunque forma di coercizione e di governo pur se tirannico che dimostri di voler mettere in pratica la sua filosofia ‘eco-fascista’.

In genere, il termine dispregiativo ‘ecofascista’ viene utilizzato per descrivere la deep ecology. Ma Linkola è stato uno dei pochi a ritenerlo quasi… lusinghiero. Proprio per la sua avversione a qualunque forma di, per lui, degradante e decadente democrazia che secondo Linkola finirebbe per generare ulteriore inquinamento e sovrappopolazione.

Chiaramente Linkola non è ‘fascista’ in senso storico o politologico, visto che nei suoi scritti si rinvengono sovente l’apologia scatenata anche di Stalin, Pol Pot e di Mao e di chiunque, una volta al potere, si sia lasciato dietro una enorme scia di sangue. Non gli interessano, in poche parole, la politica sociale, il riformismo o la conservazione di un dato assetto politico ma la negazione della vita umana, vista come parassitaria rispetto all’ambiente.

La drastica riduzione della popolazione è a suo avviso l’unica soluzione per imprimere un radicale cambiamento al degrado dell’ambiente e all’inquinamento sempre più massiccio. Sostiene l’eugenetica, la contraccezione, l’aborto, e per questo ha chiesto la criminalizzazione di tutte quelle religioni che al contrario lo oppongono.

E a proposito delle religioni, si segnala una gustosa curiosità: nel 2016, Irja Ascola, vescovo donna della Chiesa luterana finlandese, in visita in Vaticano fece dono a Papa Francesco di alcuni ettari di foresta finlandese incontaminata, donati dalla Fondazione creata anni prima da… Linkola.

Naturalmente, il filosofo si sofferma anche in maniera puntuale e analitica, ed estremamente articolata, su tematiche ambientali più classiche, come i fondamenti dell’inquinamento, i diritti degli animali, la protezione dell’ambiente, il ruolo a suo avviso deteriore delle associazioni ecologiste.

Coerente con il suo pensiero, e più coerente dell’anarco-primitivista John Zerzan che pur criticando qualunque progresso tecnologico si sposta in aereo per tenere le proprie conferenze, Linkola si è ritirato, fino alla morte, a vivere in una capanna in un bosco, scrivendo soltanto con l’inchiostro, senza alcun computer o accesso a Internet e spostandosi a cavallo.

Linkola rappresenta senza dubbio alcuno il limite invalicabile del pensiero ‘ecologista’, le Colonne d’Ercole di un fanatismo del tutto situato fuori dall’umanità.

Un monito, a suo modo, per comprendere dove certe derive concettuali e certe parole d’ordine, inizialmente magari suadenti, possano portare quando si decide di far prevalere un astrattissimo ‘ambiente’ sull’umano. Lo tengano a mente, certi ecologisti dallo strepitare facile.

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