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Ora vorrebbero sbriciolare anche le immagini di Gesù di Nazareth: le cazzate che il marxismo di risacca ritira fuori

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Làszlo Tòth, chi era costui? Un profeta. Anche un geologo, uno scienziato, e soprattutto un fuori di testa, motivo per cui è passato alla storia. Ma questo ungherese stralunato e luciferino resta nella memoria come il profeta che non sospettò di essere. I più vecchiotti, ahinoi, se lo ricordano quel 12 maggio del 1972: un trentaquattrenne allucinato penetrava in San Pietro per martellare la Pietà di Michelangelo sbraitando (in italiano): “Cristo è risorto! Io sono il Cristo!”. Lo fermava un vigile urbano insieme ad alcuni fedeli – altri volevano linciarlo; poi lo internarono in manicomio per due anni. Non se ne seppe più niente, se non che Làszlo Tòth, l’ungherese, a quanto pare è ancora tra noi, ha 82 anni e chissà se sa di essere diventato una icona pop: la sottocultura pseudotrasgressiva gli ha dedicato di tutto, saggi, rock band, superflue agiografie, nel pianeta antagonista dei figli di papà, degli agitatori sottoculturali aver martellato la Madre di Cristo è una delizia, una expertise.

Cristo proprio no, profeta a suo modo di sicuro: quasi 40 anni dopo, col pretesto del Black Live Matters, tutti addosso a Gesù: un imbecille militante e patentato, certo Shaun King, fa il salto di specie, da Cristoforo Colombo a Cristo di Nazareth: è bianco, bianca pure la madre, sbriciolare ogni  immagine, le statue tutte giù per terra. A calcinacci. Altro che Làszlo, ma lo pigliano per serio anziché per coglione nell’accezione di Lino Banfi-Oronzo Canà, spunta perfino un insospettabile Justin Welby, che dal nome parrebbe una popstar e invece è purtroppo l’arcivescovo di Canterbury, che s’inginocchia: “Ha ragione, faremo un censimento delle statue ammissibili”. Parafrasando Groucho Marx, quel prelato pare un cretino, ma non lasciatevi ingannare: lo è davvero. O forse no, forse a guardarlo bene, è solo figlio naturale di Bergoglio, cui somiglia in modo preoccupante.
Finito? Ma neanche per sogno: arriva una popstar, stavolta davvero, il portoricano Ricky Martin, n. 1 del “latin pop”: “Gesù è stato concepito con l’utero in affitto”. Ricky n. 1 porta acqua al suo mulino visto che, insieme al marito, vorrebbe un pargolo, solo che c’è un prete a San Juan, questa volta autentico e monsignor Leonardo J. Rodriguez Jimenez fulmina l’idiota di giornata: “Ma la Madonna mica è l’utero del Padreterno!”.

Ma che gli ha fatto Gesù Cristo a tutti ‘sti sbomballati? Ma come si spiega che si parte dal “razzismo”, si transita dal genderismo, il gretinismo, l’anticapitalismo e si finisce a picconare il figlio di un falegname, mite, pacifico, vegeteriano, universale? Si spiega col fatto, ed è la soluzione più semplice, che Cristo sarebbe il simbolo dell’occidente, che nelle teste bacate con torcicollo a sinistra coincide con l’uomo più o meno bianco, il consumismo, il liberismo. Tutte cazzate bollite, trite e ritrite che di tanto in tanto il marxismo di risacca ritira fuori: non ce la fecero ad estirparlo dalla coscienza degli uomini neppure in Cina, neppure in Unione Sovietica e relativi satelliti: ci fu sempre un cardinal Mindszenty a caricarsi addosso la furia delle sentinelle dell’ortodossia dell’odio, a tener viva la fiammella dell’ultima candela di fede, e milioni di umani trovarono in quella luce fioca ma indomita gli occhi di uno che era morto massacrato per amor di tutti. Milioni di uomini, più o meno convinti. Osservanti. Coraggiosi o pavidi. Anche non credenti. Perché l’uomo non è fatto solo di ossa e di muscoli, di scienza e di calcoli, l’uomo non può non guardare in alto senza chiedersi: “Perché?”. Perché l’uomo non è umano quando arriva a pensare “io sono io” ma quando sa pensare: “Tu chi sei? Ed io chi sono?”. Quando può sperare, disperarsi, trovare un complice e un capro espiatorio per il suo dolore. Dio c’è finché lo cerchi, appena l’hai trovato si dissolve e devi ricominciare da capo, Dio sta nella latitanza colma di essenza: un sospetto di esistenza che non puoi risolvere. È un’assenza presente, un’ossessione, un miraggio; lo afferri davvero solo nell’ultimo respiro, quando non hai più niente da vincere e da perdere, quando non hai più tempo di cercarlo. In dissolvenza, ti riunisci con lui. Che tu ci creda o meno. Perché “credere non è capire tutto”. Perché credo, quia absurdum. Dio è credere temendo sia inutile, ma non potendo farne a meno. E Dio è diverso per ciascuno ma, in fondo, è uguale per tutti e non serve Kierkegaard per intuirlo: sta nel cuore sfinito di ciascuno di noi.

E affiora proprio qui il livore di falsari e fanatici, dei finti trasgressivi, dei disperati per noia: quel Cristo è la loro cattiva coscienza, quello che non sono e atrocemente vorrebbero essere. “Io sono il Cristo!” urla Làszlo Tòth mentre aggredisce la Madonna di Michelangelo – ma lasciando integro il figlio: l’amore vero, che vive di poco e si sacrifica sul serio, senza compromessi, senza scappatoie, al posto dell’amore fasullo, fariseo, che predica ma di sofismi vive, vegeta nel lusso, sacrifica sempre gli altri. L’amore dei picconatori, che nel nome dell’amore odiano. E in nome dell’amore, del ricordo di una vittima di colore, vorrebbero sbriciolare Cristo ovunque lo scovano, in ogni marmo, in ogni affresco. Vorrebbero proibirlo, estirparlo. Negarlo. Vorrebbero annientarlo. Niente da fare, Cristo non va giù. Se ne facessero una ragione. Chi scrive è indegno, ma lo sa. Se ne facessero una ragione. Andrà a finire allo stesso modo, anche se oggi i distruttori trovano alleati in troppi vigliacchi che nobilitano don Abbondio. Troppi cialtroni coperti di una tonaca che non meritano, ammantati di valori in cui non credono, avvolti in opportunismi che li degradano. Mercanti nel tempio. Trafficanti. O semplicemente allergici alla Croce, a ogni croce.

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