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Paola Sacchi: dalla parte di Craxi, senza se e senza ma

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Sì, sono di parte, senza se e senza ma, dalla parte di Bettino Craxi. Ma è la Storia ad esser dalla Sua parte. Lui, lo Statista, non ha certo bisogno della difesa di una piccola cronista, seppur nominata, trentenne, in epoche lontane, inviato speciale da uno che ventenne fu inviato in Vietnam: direttore Renzo Foa, figlio di Vittorio, che poi come me, nel mio piccolo, fu di fatto cacciato da l’Unità, il giornale della nostra vita da giovani.

Andammo a lavorare, Renzo, morto a 62 anni, ed io, senza mai rinnegare il nostro passato, per giornali di centrodestra. Con dignità. Ma per me fa soprattutto testo il mio papà Anselmo, da operaio bambino a manager per big ditta appaltatrice di A1 e Napoli-Bari, ammiratore di Saragat e Craxi. E con lui mia cugina Patrizia, ramo più ricco della famiglia, figlia di mio zio Luigi Pelucchi, fratello di mia mamma Giuseppina, piccolo dirigente di destra, molto destra, che più anti-comunista non si poteva, della Dc di Orvieto allora strarossa: “Ricordati, i comunisti tenteranno di togliere anche a te, che non hai bisogno di loro, la libertà, bene primario”. Luigi, ricco imprenditore edile locale, morì a 64 anni, all’alba del 9 novembre (destino beffardo) del 1989 mentre cadeva il Muro di Berlino. Ma a mio zio guai a parlar male di Craxi. Detestava De Mita. Mi disse pochi giorni prima di morire che era tempo di acquistare un nuovo Burberry.

Craxi c’entra e di che tinta in questa piccola, ma per me simbolica storia di una famiglia italiana. Patrizia, dopo il mio #IConticonCraxi (Maledizioni) disse, come il suo papà: “Paola, sì, è stata comunista e poi a l’Unità (cacciata di casa da papà manager e zio imprenditore, ndr), ma guai a toccarle Craxi, che ti graffia”. Tanti, in questi giorni di giusta, finalmente, “Craxeide”, scrivono del loro Craxi. Ma, posso dire nel mio piccolo? Anche tanti, e comunque meno male, che però al presidente Craxi, così da me sempre chiamato, non hanno mai forse avuto il coraggio di fare una umana, solo umana, telefonata, se non altro per chiedergli: presidente, come va oggi la Sua giornata? Avrebbe nuociuto forse alle carriere.

Ma a casa nostra, di borghesi di provincia, si usava così: le persone si chiamano sempre, nella buona e cattiva sorte. A Craxi dicevo: non La chiamo per il tormentone del libro intervista sul duello a sinistra, che non saprei davvero chi ora me lo pubblicherebbe, nel 1997 (a me, ancora inviata speciale a l’Unità, ufficialmente da Lui nel ’96 e poi ultimi 3 mesi della Sua vita, dissero di no anche editori più insospettabili). Non ero ancora al Gruppo Mondadori. Dove quasi 20 anni dopo il mio ultimo direttore di Panorama, Giorgio Mulè, ordinò: pubblicate la lunga intervista, in due puntate, di Paola a Bettino. Grazie sempre, caro Giorgio. Tu che socialista non eri. E neppure io, da ex Pci filo-Craxi, da più di venti anni elettrice del centrodestra e prima ancora del Pci e poi del Psi.

Ma, intanto, mia cugina Patrizia ed io abbiamo ancora stipati negli armadi eleganti abiti degli anni ’80, i migliori anni e vestiti, con spalloni e paillettes, elegantissimi, made in Italy, della nostra vita.

Ultimo statista Craxi mi disse: “Figlia mia (avevo perso da poco il mio papà, stessa pelata come la Sua, ndr), tu lo sai che quelli se continui a telefonarmi e venirmi a trovare ti cacciano?”. Io: “Presidente, lo so benissimo”. Per obiettività, però poi non lo fecero né il mio ultimo direttore de l’Unità, Peppino Caldarola, né il suo e mio ancora oggi amico, allora premier, Massimo D’Alema, che provò davvero a salvare Craxi. Mal gliene incolse anche al mio sempre amico Max, nonostante Lui ben sappia che da oltre vent’anni voto per il centrodestra. Craxi cambiò la mia vita e quella dell’Italia intera. Senza se e senza ma.

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