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Salvini e la sua forza attrattiva, tra opportunità e incognite

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Matteo Salvini spinge sull’acceleratore: è sua la voce più forte del nuovo esecutivo, sta dettando l’agenda degli argomenti dal momento in cui si è insediato al Viminale, ha accompagnato la Lega nella vittoria delle Amministrative e macina chilometri lungo la penisola, godendosi il bagno di folla di Pontida di domenica scorsa. I sondaggi lo premiano, dando il suo movimento al 30%, quindi sopra agli alleati di governo grillini (che in teoria ne detengono la maggioranza) e soprattutto con largo vantaggio sugli alleati di sempre, Forza Italia e il resto del centrodestra. Marcia spedito mentre gli scenari cambiano o addirittura si ribaltano: prima erano i berlusconiani a volare, con i leghisti a fare da spalla. Ora FI è scomparsa addirittura dal radar.

Ma in politica, specie nei sondaggi, i numeri rappresentano un’opinione, non una certezza: le sorti dei leader mutano rapidamente e in un contesto di rottura e nel quale vengono premiati i partiti di protesta, il percorso per la consacrazione si fa sempre più arduo. Dal palco della Bergamasca Salvini ha gasato i suoi preparandoli a governare per trent’anni e probabilmente avrà ironicamente accolto con favore il presagio di Piero Fassino, secondo il quale “bisogna vedere se gli elettori gli daranno i voti”: i precedenti di dichiarazioni che si sono ritorte contro all’ex segretario piddino sono note, specie quella su Grillo (“Se vuole fare politica fondi un partito. Metta in piedi un’organizzazione, si presenti alle elezioni e vediamo quanti voti prende”).

Sgombrato il campo dalle mille incognite quotidiane e dall’assenza di un’opposizione che si sta organizzando con Salvini allo stesso modo con cui si è comportata per anni con Silvio Berlusconi, ovverro dedicandosi più ad una character assassination che ad un progetto politico vero e proprio, se la tendenza che vede la Lega sul gradino più alto del podio verrà confermata, allora è tempo di immaginarla come polo di attrazione per l’elettorato moderato che resta la base del centrodestra italiano. Pare un’assurdità, ma non lo è. La Lega è un partito ben strutturato, con una catena di comando efficiente e dalle radici ben solide che le garantiscono di infilarsi nelle sacche di resistenza del centrosinistra, siano esse in Toscana o attorno a Milano (Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo ad esempio), che presta orecchio e attenzioni a tutti. Ha mille sfaccettaure e sarà chiamata alla prova del nove: tenerle tutte assieme.

Ci sono i militanti delle primissime ore, quelli del “Prima il Nord” che trovano voce in Umberto Bossi (“Se ci porti lì anche l’ Africa… “, la risposta al giornalista del Corriere della Sera che gli ha fatto notare il pienone di Pontida, con un chiaro riferimento ai sostenitori arrivati anche dal Sud, “un sacco di gente interessata ad essere mantenuta”),  ci sono quelli raccolti negli ultimi cinque anni di lotta all’opposizione, con marcate posizioni antieuropeiste, filoputiniane, antiamericane (la cotta per Donald Trump è piuttosto svanita, ma il presidente degli Stati Uniti sa stravolgere le carte in tavola così rapidamente che potrebbe riaccendersi).

E’ all’apparenza impossibile immaginare che un tale partito possa essere considerato dall’elettorato più moderato, silenzioso e per nulla attivista, ma sta succedendo. E’ quella borghesia medio-piccola che, anche inconsciamente, conserva i tratti più conservatori e talvolta liberali che per anni è stata bacino d’utenza di Berlusconi, ma che all’ultimo giro ha scelto un leader più giovane, nel pieno delle forze e più agguerrito, visto che i tempi questo richiedono e offrono. Non si dedica alle polemiche sui toni e sulle maniere; non teme di passare per razzista perché non crede di esserlo e non ha esigenze di ricevere patentini che lo accertino dall’opinione pubblica; non va alla lotta sul quoziente di preparazione intellettuale; tiene molti pensieri per sé e non si sente affatto collaborazionista.

Lontano dai circoli e dai centri di pensiero che giustamente rimarcano alcune notevoli differenze tra i programmi leghisti e le idee di libero mercato, anti-interventismo e libertà sociali, nella volatilità dell’elottorato attuale la realtà è diversa. Il senso di sicurezza – e soprattutto la sua percezione che in un dibattito politico assume un peso specifico ben superiore a quello numerico su flussi migratori e criminalità perché, come scritto in precedenza, i numeri sono opinioni – è la calamita capace di unire due poli opposti, con il corollario di aspettative e (deboli) speranze che qualcosa davvero cambi.

Per Salvini e i suoi stretti collaboratori è una scommessa con una posta in palio elevatissima, richiede alla Lega uno spirito di adattamento a nuove istanze, meno “rivoluzionarie” e più pragmatiche, meno di pancia e più a lungo termine. Nuove future proposte e promesse, ergo nuove opportunità e nuovi rischi. “I cittadini mica sono stupidi”, proseguiva Bossi nell’intervista a Cesare Zapperi. “Oggi ti votano, domani ti voltano le spalle se non mantieni tutte le promesse che hai elargito”. Parole di uno che ci è passato.

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