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Da Torino e dal Sì alla Tav deve ripartire la politica per far tornare grande l’Italia

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“Noi avevamo la scelta della via; abbiamo preferito quella della risoluzione e dell’arditezza; non possiamo rimanere a metà; è per noi una condizione vitale, un’alternativa impreteribile: o progredire, o perire” con queste parole Cavour esortava i deputati del Regno di Sardegna a votare a favore del traforo del Moncenisio, nel 1857. Oggi, a distanza di più di centosessanta anni, ci ritroviamo nella stessa situazione. Con una differenza, non un uomo solo ma trentamila hanno detto con forza al governo e, soprattutto, al sindaco di Torino Chiara Appendino che la TAV va completata, che è necessario ultimare quei lavori.

Infatti sabato ad urlare il loro sì a quest’opera c’erano migliaia e migliaia di persone. Si possono avere diverse opinioni sui raduni di piazza, ma non si può negare il successo della manifestazione di Torino. E chi era in piazza Castello rappresenta l’Italia, o forse il Nord, che produce e che spera in un futuro migliore. Uno spaccato della società civile che vuole libertà di movimento, quindi libero scambio, ergo progresso economico.

Una piazza non politica ma fatta di persone che però si sono stufate degli ideologici no del M5S alle grandi opere e, più in generale, allo sviluppo, quello vero. Perché fermare la TAV corrisponde a fermare l’Italia. Al nostro Paese serve porsi al centro del mondo, non solo come via di comunicazione (va ricordato che la Torino-Lione fa parte di un corridoio che va da Lisbona a Kiev), ma come luogo di crescita ed innovazione. Per farlo, oltre che ad un importante piano infrastrutturale, serve un forte taglio di tasse e burocrazia, cosa che su queste pagine è già stato scritto e suggerito. La TAV va fatta non perché ce lo chiede l’Europa, ma per (ri)lanciarci nelle sfide del futuro.

Sabato è nata un po’ di speranza, anche perché a favore della TAV si è espressa la Lega, la componente del governo che a quel nord produttivo che vuole l’alta velocità deve rispondere e che da esso sarà giudicata nelle urne. Salvini stesso ha detto che l’opera va ultimata, chissà se presto capirà che un’altra cosa da finire è l’esperienza del “governo del cambiamento”. La speranza sorge anche dal fatto che la piazza di Torino, fatta non solo di piemontesi, ci dice che in molti all’assistenzialismo preferiscono la creazione di occupazione e la crescita delle imprese; al disfattismo preferiscono l’intraprendenza, il fare al lasciare le cose a metà, il progredire al perire.

Questa maggioranza silenziosa (senza scomodare paragoni importanti) che sogna un’Italia diversa da quella dei grillini deve volere e sostenere la nascita di una nuova politica, che guardi ad un modello anglosassone e non d’oltralpe, sicuramente slegata da vecchi schemi. Ora accontentiamoci delle immagini e del messaggio di Torino. Ma, arrivando a Lione, si dovrà ripartire per fare grande l’Italia, di nuovo.

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