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The Wife, vivere nell’ombra

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The Wife, vivere nell’ombra, è un film diretto da Bjorn Runge, tratto dal romanzo omonimo della scrittrice statunitense Meg Wolitzer. Storia recente che vive della contemporaneità pur richiamando a tratti usi, costumi e moralità decisamente superate. I protagonisti sono una coppia di americani, rispettivamente Gleen Close nei panni della signora Joan e suo marito Jonhatan Pryce che interpreta il professor Castleman.

Tutto comincia in una mattina d’autunno quando i coniugi, già colpiti dagli acciacchi della terza età, ricevono una telefonata da Stoccolma che annuncia la volontà dell’accademia Nobel di conferire a Jonathan Castleman il premio alla letteratura. Da qui veniamo di colpo risucchiati in un vortice di immagini: i festeggiamenti con gli amici, le interviste con i più distribuiti quotidiani d’America e le nuvole di incenso dei critici letterari sui giornali d’elite. Il nostro professore, di carattere burbero e narcisista, comincia a vivere dell’immagine riflessa di sé stesso tralasciando il rapporto con il figlio David. Nel giro di una mezz’ora ci ritroviamo in Svezia. Il film rallenta e si plasma con le sensazioni di immobilità dei personaggi, tra i riti e le cerimonie sontuose che accompagnano Joe a ricevere il tanto ambito riconoscimento.

È qui che il regista maestralmente attua un cambio di tecniche cinematografiche. Ci ritroviamo inquadrature mirate sui personaggi a mezzo busto e perdiamo le telecamere da esterno tipicamente utilizzate nel dialogo. Nella continua dialettica tra una grandiosa interpretazione della Close e il suo sposo, veniamo catapultati in numerosi flashback che raccontano i loro primi incontri e il loro innamoramento. Le modalità di ripresa ci descrivono perfettamente la fisiognomica delle espressioni durante le loro conversazioni. Sceneggiatura e recitazione diventano una cosa sola.

Si scopre rapidamente l’animo libertino del vecchio Joe che si trova a flirtare nella contemporaneità con la sua fotografa personale sotto il naso della donna di una vita. Da qui ne esce il nucleo fondante della narrazione: l’emozioni e i sentimenti controversi che spingono il genio letterario di Joan. Si, proprio di Joan, perché è proprio lei la vera scrittrice della coppia. Una vita nell’ombra è il sottotitolo scelto per simboleggiare una sottomissione sociale. Il filone della disparità tra uomo e donna viene descritto attraverso la giovane Annie Stark, che interpreta la giovinezza della signora Castleman, a che fare con un mondo letterario maschile, in cui le ragazze di estrazione sociale bassa non riescono a trovare spazio.

Adesso mi direte: non è tutta roba già vista? Soliti temi, solite situazioni, soliti messaggi? La risposta è no. Proprio nel finale, nonostante la dialettica coniugale si trasformi in situazioni imbarazzanti che sfociano in litigi prolungati, l’autore ci comunica qualcosa di diverso: Joan Castleman, sotto pressione, decide di non rivelare mai a nessuno la sua verità. Tutto questo nella memoria di Joe e per il bene dei suoi figli. Sì, perché in fondo, quel Nobel è di entrambi. In realtà dietro ogni grande uomo c’è una grande donna e viceversa. La famiglia deve essere luogo di discussione, divergenza, litigio e violenza ma deve conservare la sua sintesi e la sua autonomia.

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