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Wexit: il risveglio del Canada occidentale

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All’indomani della traballante riconferma di Justin Trudeau in occasione delle elezioni canadesi di ottobre, il web del Canada occidentale è stato inondato da un hashtag: #WEXIT. E questa strana parola ha cominciato a circolare tra quotidiani, tv e talk shows radiofonici.

Ma che cosa vuol dire Wexit? È un portmanteau coniato sul modello di Brexit e fa riferimento alla secessione dal Canada delle sue province occidentali.

Non è uno scherzo, non è un gioco. I Wexiteers fanno sul serio. Un Wexit Party è stato registrato a livello provinciale in Alberta, Saskatchewan, Manitoba e British Columbia. Le prime manifestazioni a Edmondton e Calgary stanno riscuotendo adesioni crescenti. E il 4 novembre il Wexit Party ha presentato i moduli per registrarsi come partito politico federale. Oltre ad un programma politico economico marcatamente conservatore e libertario, a base di libera iniziativa, stato minimo e deregulation, il movimento Wexit propone apertamente la costituzione di un nuovo Stato indipendente e sovrano costituito dalle province occidentali che scelgano di farne parte.

L’idea di un separatismo occidentale in Canada non è nuova. Partiti indipendentisti sono esistiti già dagli anni ’80, come il Western Canada Concept o il Western Block Party. I loro risultati sono sempre stati modesti, ma non è da quelli che si ha la vera misura di quanto sia forte l’identità del Canada occidentale e di quanto sia distinto il suo sistema di valori.

È molto più significativa, semmai, l’irruzione nel panorama politico alla fine degli anni ’80 del Reform Party che nel 1993 sbaragliò i vecchi Tories di allora (il Progressive Conservative Party) sostituendoli ovunque ad ovest dell’Ontario.

Il Reform Party di Preston Manning rappresentava i valori conservatori e libertari del Canada profondo e operoso contro le élites politiche e burocratiche di un Paese che era sempre stato governato da Est, dall’Ontario e dal Québec. Dopo un lungo e complesso percorso, il Reform Party confluì con il Progressive Conservative Party nel Partito Conservatore che oggi conosciamo e che ha governato il Canada con Stephen Harper dal 2006 al 2015.

Il governo Harper ha rappresentato, per molti versi, un momento di conciliazione tra Ottawa e le province occidentali. Ma, con Trudeau al governo, la “Western alienation” – la sensazione di essere governati da un altro pianeta che solo pretende tasse e impone regole – è tornata più forte che mai. Secondo un sondaggio di pochi giorni fa, in Alberta il 79 per cento della popolazione pensa che il Canada sia ormai un Paese più diviso che mai – e il 77 per cento è della stessa opinione in Saskatchewan.

A fronte di domanda esplicita, il 33 per cento dei cittadini dell’Alberta ed il 27 per cento dei cittadini del Saskatchwean vedrebbe meglio la propria provincia fuori dal Canada.

Quello che è interessante è che oggi l’appetito per la secessione sia maggiore nelle Praterie, che in Québec, dove in questo momento si ferma al 26 per cento. È significativo anche come l’Alberta sia, insieme al Québec, l’unica area del Canada dove le persone dichiarano un maggior attaccamento verso la provincia che verso l’intero Paese.

Le Praterie – e soprattutto l’Alberta – sono dunque il cuore di una rivolta silenziosa rispetto alle magnifiche e progressive sorti del mondo alla Trudeau.

Lo si vede bene a livello di politica provinciale, con un quadro partitico interno sempre più riconfigurato a destra – specialmente dopo la nascita e il successo del nuovo partito conservatore unificato (United Conservative Party) dell’attuale premier albertano Jason Kenney che ha portato a compimento il percorso iniziato un decennio fa con l’ingresso nell’arena politica albertana della destra libertaria rappresentata dal Wildrose Party di Danielle Smith.

Ma la situazione è evidente anche a livello delle elezioni federali. Nelle consultazioni di ottobre, i Conservatori hanno ottenuto complessivamente 47 seggi dei 48 seggi in palio in Alberta e in Saskatchewan – e hanno vinto molti collegi con percentuali oltre il 70-80 per cento.

La tendenza è meno marcata, ma comunque presente anche in Manitoba ed in British Columbia, eccetto nelle aree glamour di Vancouver e Victoria.

Il problema del Partito Conservatore federale è che ormai stravince nelle Praterie, ma appare strutturalmente plafonato altrove.

Sono in molti a ritenere che la demografia sociale canadese renda ormai non più contendibili per i Conservatori varie regioni importanti e popolose del paese. Il Québec è largamente off-limits per ragioni etno-linguistiche, ma anche il decisivo Ontario appare fuori portata, tra la crescente immigrazioni, il ruolo delle burocrazie politiche, i circuiti mediatici e culturali, il numero di impiegati pubblici o comunque di lavoratori dipendenti – e, in definitiva, la diffusa dipendenza diretta o indiretta nei confronti del “big government”.

Su base dell’intero Canada, è ormai comunque molto complicato per i Tories andare oltre il 35 per cento e praticamente impossibile superare il 40, a fronte di un voto del 60-65 per cento per partiti con ideologie variamente progressiste.

In questo contesto, le argomentazioni del leader di Wexit Peter Downing sembrano conquistare facilmente consenso e potrebbero rendere l’indipendenza dell’Alberta in primis e del Saskatchewan in secundis un’effettiva opzione politica.

Ci saranno partiti Wexit alle elezioni provinciali – anche se il sogno dei Wexiteers sarebbe che le loro posizioni fossero fatte proprie dagli attuali premier dell’Alberta e del Saskatchewan. Il sistema partitico provinciale è scorrelato rispetto a quello federale e quindi i partiti che governano a Edmonton e a Regina non rispondono al Partito Conservatore federale – se il vento del Wexit dovesse risultare molto forte, del resto, non è detto che qualche politico dell’attuale establishment provinciale non possa scegliere di assecondarlo.

Ci sarà un Wexit Party anche in chiave federale per svolgere, nelle intenzioni di Downing, il ruolo che il Bloc Québecois svolge a Ottawa in rappresentanza dei sovranisti del Québec.

Proprio il precedente del Québec rende un eventuale processo per l’indipendenza “occidentale” inquadrabile in un percorso legale certo non semplice, ma comunque possibile – secondo quanto previsto dal Clarity Act varato nel 2000.

Il primo passo sarebbe un referendum convocato dalle province interessate con alcuni aspetti concordati con il governo federale di Ottawa. In caso di successo dell’opzione indipendentista, partirebbe poi una fase probabilmente lunga di negoziato tra le province secessioniste e il governo centrale.

A livello federale un simile processo potrebbe trovare una qualche sponda nel Bloc Québecois che, per quanto ideologicamente agli antipodi rispetto ai Wexiteers, è interessato a tenere viva ed oleata la macchina delle secessioni, e forse paradossalmente persino nel Liberal Party che, senza la cinquantina di seggi conservatori di Alberta e Saskatchewan, potrebbe accrescere la propria presa sul Canada residuale.

Al di là dell’innegabile slancio di queste settimane, è abbastanza difficile giudicare a oggi quale possa essere la presa effettiva del separatismo occidentale come movimento politico. Tuttavia quello che è certo è che la Wexit non nasce come un capriccio estemporaneo o come trovata “social”. Al contrario, i presupposti economici, sociali e culturali della rivendicazione “occidentale” appaiono solidi e stanno nella divaricazione sempre più forte tra il Canada “dell’immagine” e il Canada “profondo”. Vedremo nei prossimi mesi se la questione guadagnerà ulteriore spazio.

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