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“Il talento di Mr. Ripley” di Patricia Highsmith: delitti senza castigo…

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Recensione di Patrick Bateman

Immaginate di essere un giovane americano un po’ squattrinato ma affascinato dal bel mondo. Immaginate che un facoltoso signore vi scambi per un caro amico di suo figlio e vi chieda di viaggiare – pagato e spesato, ça va sans dire – dagli Stati Uniti all’Italia per convincere quel pelandrone a lasciar perdere la pittura e a seguire gli affari di famiglia. Immaginate di avere un solo, grande talento: quello di essere un maestro nella truffa e nella falsificazione in ogni suo aspetto. Questi sono gli ingredienti principali del romanzo più famoso di Patricia Highsmith, pubblicato per la prima volta nel 1955, oggetto di varie trasposizioni cinematografiche, ristampe (l’ultima per La Nave di Teseo, 2017) e capostipite di una saga di cinque libri.

Si tratta, in linea con la produzione dell’autrice statunitense, di un thriller psicologico fortemente ironico e amorale, in cui l’ambigua, edonista e machiavellica figura di Tom Ripley catalizza totalmente l’attenzione del lettore rivelando ancora una volta – come se ce ne fosse bisogno – che i “cattivi” riescono a essere quasi sempre più affascinanti dei “buoni”. Tom non è mai ciò che sembra, poiché ha compreso perfettamente che ciò che conta è sapersi adattare in un mondo in continua evoluzione che rivela sempre più la sua natura superficiale e vuota. A seconda dell’occasione, il protagonista è timido e riservato oppure divertente e chiassoso, amante delle frugalità della vita o raffinato viveur: un vero e proprio camaleonte. O meglio, un vero e proprio squalo in un mare di sardine spaurite che non sanno da che parte andare, rapite dai propri capricci e prigioniere di una statica inconcludenza che si traduce nel tradire infantilmente le aspettative genitoriali prosperando tuttavia con le rendite mensili erogate dagli stessi.

In questo circolo vizioso Ripley si fa strada, con la sua visione chiara e decisa, sbarazzandosi dal suo umorale e fatuo “amico” Dickie Greenleaf e riuscendo a menare per il naso tutti gli altri comprimari di questa tragedia farsesca, da Marge, l’altrettanto fatua fidanzata di Dickie, agli inquirenti che indagano brancolando nel buio, passando persino per il signor Greenleaf, ingenuamente convinto che Tom stia davvero operando per il bene del suo scapestrato figliolo. La trasformazione di Tom in Dickie è totale, arrivando a coinvolgere ogni aspetto della sua vita e mostra uno degli esempi più riusciti del già florido archetipo letterario del doppio, già sperimentato peraltro dalla stessa Highsmith nel romanzo “Sconosciuti in treno”; il tutto abbellito dalla meravigliosa cornice di un’Italia sfavillante e suggestiva, una grande bellezza che va dalle calli di Venezia ai vicoli di Roma, dal mare della costa campana alle sale da gioco di Sanremo. “Il talento di Mr. Ripley” è un classico da riscoprire per la sua attualità nel descrivere le frivolezze e la mondanità di una gioventù poco bohémien e molto capricciosa con il cuore a sinistra e il portafogli – di paparino – a destra, per ricordare ancora una volta quanto l’Italia rappresenti un unicum mondiale da valorizzare a tutti i costi in termini di bellezza e patrimonio artistico e culturale e infine per la straordinaria caratterizzazione di un personaggio spiazzante come Tom Ripley, un assassino sociopatico e un parassita ma allo stesso tempo maschera affascinante di ascesa sociale e prestigio al pari di Barry Lyndon e Dorian Gray, anche loro amorali, anche loro irresistibili.

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