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Autostrade, 4 nodi da sciogliere

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Come sempre cerchiamo di parlare chiaro e senza tanti fronzoli, in questa zuppa, di ciò che sta avvenendo ad una delle poche multinazionali italiane e cioè Atlantia-Autostrade. La cronaca nera e giudiziaria, che ormai tutti conoscono, ci ha raccontato la triste vicenda del Ponte Morandi e delle conseguenti ripercussioni giudiziarie e politiche. L’ultima in ordine di tempo è stata quella intercettazione dove si fa riferimento “al capo” e che tirerebbe in ballo proprio l’ex boss del gruppo Giovanni Castellucci. Un riferimento che costerà al numero uno del gruppo Benetton il posto, ma che gli frutta una liquidazione da 13 milioni e una serie di stock option che avvicinano l’incasso ai 40. Delle vicende giudiziarie in questa zuppa non ce ne occupiamo. Vedremo i processi.

Resta sul tappeto la vicenda che riguarda la più grande società di infrastrutture dei trasporti del mondo. Il suo fatturato all’arrivo di Castellucci era poco superiore ai tre miliardi di euro: oggi supera gli undici. Il debito è volato a 38 miliardi (che proprio ieri si è beccato un votaccio in pagella dalle agenzie di rating) e la presenza è ormai diffusa in 23 paesi. Hanno diversificato negli aeroporti, riuscendo a comprare quelli della Costa Azzurra, oltre a quelli romani. Hanno un pezzo dell’eurotunnel e hanno la maggioranza (un’azione in più) della spagnola Abertis (con annessa partecipazione nelle costruzioni). Ancora metà dei margini sono però realizzati in Italia. E qui sta il grande punto.

1. Il primo aspetto riguarda gli assetti societari. Le autostrade italiane, così come gli aeroporti e il gruppo Abertis, sono controllate da una holding, chiamata Atlantia. Castellucci guidava sia la parte sopra sia quella sotto e cioè l’operativa, del gruppo. E non ha mancato di far notare all’attuale presidente, Fabio Cerchiai, che anche lui aveva medesimi ruoli, se non superiori essendo presente anche nella cassaforte di famiglia. Nei due ultimi consigli di amministrazione, venerdi e il lunedì del licenziamento-dimissioni, l’imbarazzo è stato palpabile, quando la cosa è stata fatta notare in modo molto poco diplomatico. I Benetton devono trovare nuovi manager (difficile che Altavilla ce la faccia) e capire se possa mantenere la posizione di Cerchiai. Sembra al sicuro invece l’attuale numero uno di Autosrade, Tomasi. La famiglia di Ponzano con il ritorno di Mion alla guida strategica però pare abbia già deciso due questioni dirimenti: la prima è che la holding Atlantia diventerà puramente finanziaria e leggera e che i partner delle controllate dovranno essere industriali. Sembra dunque saltare l’accordo con i fondi che avrebbero voluto entrare nella controllata Telepass, e che non sono considerati sufficientemente industriali dalla famiglia.

2. Verrebbe così meno l’incasso per finanziare l’acquisto di una quota di Alitalia. La famiglia è convinta che la cosa si possa fare. E continueranno a trattare. Sanno che ci possono essere sinergie con Fiumicino e che sarebbe un segnale di riavvicinamento alla politica. Ma temono che il vero ostacolo sia quello che arriva da Roma. E non già dalla politica, ma dallo scarso entusiasmo (per carità mai manifestato) dei vertici della Ferrovie dello Stato che non hanno mai visto di buon occhio questa cordata.

3. Terza questione, la più importante dopo quella giudiziaria, si chiama Abertis. Chi ha visto le cose da dentro, dice che le sinergie con il gruppo spagnolo non sono così forti come è stato raccontato. In fondo sono business concessori e c’è, relativamente, poco da fare. Basti pensare alla vicenda Telepass. Gli italiani vorrebbero estendere la loro best practice anche agli spagnoli (che hanno il loro sistema tramite una controllata francese), che però non ci pensano affatto. Atlantia ha un’azione in più, ma nella governance pesa relativamente. Grazie ad essa può però consolidare il fatturato, e soprattutto il debito, che è così cresciuto enormemente. Ne vale la pena?

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