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Ballottaggi, vi spiego il vero motivo della sconfitta del centrodestra

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Il tracollo del centrodestra alle amministrative era prevedibile. L’andazzo era già chiaro dal primo turno, i ballottaggi hanno confermato la tendenza. Quanto hanno inciso gli scandali a orologeria? Probabilmente poco; forse, hanno contribuito più a chiamare alle armi un elettorato, quello di centrosinistra, già militarizzato, che non a screditare il centrodestra. Qualcuno dice abbia pesato la mediocrità dei candidati selezionati. Ma si trattava di professionisti stimati; quello di Torino, Paolo Damilano, era eccellente; e, in ogni caso, i frontman della sinistra non brillano certo per competenza e carisma. Indubbiamente, però, la coalizione ha spesso dato l’idea di essere sull’orlo della crisi, se non della rottura: zuffe a favore di telecamere più mediazioni nelle stanze dei bottoni.

Ma c’è un elemento in più su cui riflettere. Un aspetto che i numeri dell’affluenza confermano: la sensazione, cioè, che l’elettorato d’area sia ormai scoraggiato. Queste persone, quelle che si chiamano, in modo un po’ impreciso, “periferie” (in realtà, c’è tutto un ceto medio che non sperimenta condizioni di grave emarginazione e disagio, ma si sente comunque di rientrare tra gli “sconfitti” delle grandi trasformazioni degli anni Novanta e Duemila), hanno capito che non c’è via d’uscita dal pilota automatico. Dal combinato disposto tra vincolo esterno (il Recovery fund, il Pnrr, le future emergenze sanitarie e climatiche) e vincolo interno (un establishment che riesce a restare aggrappato al potere a prescindere dal consenso e dalle urne). Quella italiana è una democrazia addomesticata: votare non sposta gli equilibri.

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