Cronaca

Follie politicamente corrette

Birra, rutti e buonsenso: i consumatori cassano la Budweiser trans

Il noto marchio si presenta con un trans nello spot della bevanda. Il mercato insorge

Lo spot della Bud Light del trans Dylan Mulvaney

Alla fine ci salverà il vituperato Mercato? Non nel senso di forza oscura dedita al profitto dell’uomo sull’uomo ma come coacervo di forze, di attività, di vitalità, di imprevedibilità e di residuo buon senso delle umane genti, se ancora di umane ne restano. Una marca di birra, Budweiser, si mette in testa di fare uno spot oltre ogni woke, ogni politically correct, un transessuale che impugna una lattina e, sorpresa, le vendite crollano: -5% in Borsa, un buco immediato da 5 miliardi. Il Mercato crea, il Mercato punisce: la gente, per quanto assuefatta, non ha capito perché avrebbe dovuto votarsi alla bevanda trans; immediatamente la Company ha ritirato lo spot proponendone un altro che, volendo, è agli antipodi, uno spot patriottico: chi beve Bud è un vero americano. Quasi quasi passavano dal transgender al Trump revanscista e puttaniere.

Da noi ad insufflare certi deliri d’importazione ci pensa l’Europa che non è né madre né matrigna, è una strega coi lineamenti delle sue massime cariche. La visione bruxellese è peggio che distopica, è innaturale e come tale va imposta coi blitz militareschi, fulminei, calati dall’alto per non far ragionare i cittadini riformattati. Ma sotto il bombadamento di follia restano sacche di resistenza disperata. La Disney a forza di pellicole demenzialmente corrette è sull’orlo del fallimento, la Budweiser, che nel settore “light” è in crisi da tempo, partorisce l’idea demenziale, affidarsi a una comunicazione genderizzata: “Dobbiamo mettere in mezzo un travestito” dicevano i creativi “se no la gente non beve”. È andata al contrario, la gente non se l’è bevuta ed anzi si è chiesta: ma perché io dovrei bermi una birretta identificandomi con un imbecille, dall’aspetto insopportabile, con pettinatura da lesbica, nudo con un reggiseno sul torace e un sorriso sintetico, isterico e le unghie da influencer?

Nelle reazioni fisiologiche a questo processo insano chiamato woke, svegliati, quando è l’opposto, addormentati, narcotizzati alla propaganda, stanno alcuni libri che in Italia non vengono tradotti ma che accendono un dibattito vivace in patria, come quelli sul woke capitalism di autori quali Carl Rhodes e Vivek Ramaswamy. Testi in cui si dice: i nuovi valori sbandierati dalla sottocultura woke non esistono, sono specchietti per le allodole che le compagnie sovranazionali manovrano per distogliere dai loro problemi che sono essenzialmente finanziari e fiscali. Che tutta la mercanzia gender correct fosse pretestuosa ce n’eravamo accorti, ma vederlo spiegato, teorizzato in alcuni libri produce un certo effetto e una consapevolezza: i programmi di sviluppo occidentali, europeisti per svitare e riavvitare la testa alla gente non sono percorribili, sono violenze del tipo totalitario e richiedono soluzioni totalitarie, morbide in apparenza, brutali nella sostanza.

Da imporre col ricatto: che fai, non ti preoccupi del clima, del pianeta? Sei infame fino a questo punto? Che fai, non ti vaccini e diventi assassino, come mentiva Draghi? E lo sapeva di mentire, la psicosi vaccinale serviva a lanciare la nuova tecnologia di controllo fornita dai lasciapassare elettronici, dai codici a barre congelati ma non aboliti secondo il comandamento supremo del neoliberismo tecnologico: quello che si può fare si faccia e quello che è stato fatto si tiene. Perché fa comodo al regime finanziario-industriale che orienta la politica. Tutta la mascalzonata europea sul certificato vaccinale sta lì, pronta, potenziata, foriera di più penetranti anagrafe al fine dell’introduzione dell’euro digitale e di nuovi ricatti morali.

Che fai, non bevi la birra travestita? Sei a tal punto fascista, sessista? Gli americani non hanno risposto a parole ma coi fatti, hanno detto: non mi pongo il problema, non è un mio problema, non me ne frega niente. I più avveduti avranno pensato: questi mi vogliono fottere, ma io sono stanco di lasciarmi fottere, di sentirmi in colpa se respiro o bevo o conto una favola. Allora come non detto, ti diamo la bibita patriottica. Questo precisamente è il Mercato almeno nella concezione pura, non dopata, non manipolata dalla comunicazione ludica e truffaldina; i prodotti “gender” costano di più, le ignobili ballerine da uomo 800 euro, i giocattoli e gli aggeggi delle transizioni laide, sessuale, climatica, svenano chi ci casca.

Ma alla fine la civiltà degli umani, che si ritengono umani, è davvero una eterna faccenda di ritorni, di strappi e di risacche: ad ogni esagerazione subentra una reazione, la follia del cambio di sesso infantile è già sul banco degli imputati, la cosiddetta disforia di genere ha fatto ricchi alcuni macellai senza scrupoli e gettato nella disperazione migliaia di minorenni inconsapevoli e tutto il parco giochi che la canta, la predica, la mette in scena adesso frena, torna a vestirsi di vecchi colori, il maschio da maschio, la femmina da femmina. Tempi magari lunghi, ma irreversibili. È sempre questione di soldi, tutto il resto è conversazione comprese le sparate, alla lettera, di Kid Rock, il fanatico che centra le lattine a fucilate e le scuse deliranti dei fanatici dell’altra parte, “non comprano la birra gender perché sono sessisti” che è come dire: o fai come dico io o ti spazzo via. Ma essendo sempre questione di soldi, l’azienda si è pentita, la birretta trans col maschio in reggiseno non ha funzionato, la Bud ha fatto flop, alla Bud Gender continuiamo a preferire Bud Spencer.

Max Del Papa, 19 aprile 2023