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Boccia e l’autonomia che non si farà mai - Seconda parte

Al momento Boccia, che nello stesso nome ha un destino, è riuscito nella prima e più facile parte: ha fatto il giro delle sette chiese regionali e ha interrotto il percorso di riforma che con Erika Stefani, ministro leghista, era ormai giunto alla stazione finale. Da questo momento inizia la seconda parte che è quella, per dirla con un fiorentino più famoso di Renzi, su cui “si parrà la tua nobilitate”. L’ingegno del ministro, nonché le sue stesse forze politiche, rischia di essere messo a dura prova perché il problema, se è considerato tale, non solo è di difficile soluzione ma sembra anche che sia senza soluzione. In pratica, il ministro del Pd vuole sì l’autonomia differenziata, ma con una differenza decisiva: che inizi là dove è garantita l’identica qualità dei servizi nelle diverse regioni.

Ma il dente che duole è proprio qui: chi e come assicura queste identiche prestazioni da Nord a Sud? Quelle stesse classi dirigenti locali che finora hanno garantito proprio l’esatto contrario: le differenti qualità delle prestazioni di base. Come si vede, è il classico cane che si morde la coda, un circolo vizioso nel quale il ministro dovrebbe svolgere il ruolo del barone di Munchhausen che si tirò fuori dalle sabbie mobili tirandosi il codino dei capelli.

Giancristiano Desiderio, 10 ottobre 2019

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