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Boccia e l’autonomia che non si farà mai

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Francesco Boccia è impegnato nella soluzione di un rebus impossibile: concretizzare l’autonomia differenziata mettendo insieme l’eguaglianza dei servizi essenziali e la diversità dei governi locali che, alla fine dei conti, hanno il compito di realizzarla. Si tratta di un autentico rompicapo per il quale, per ora, nessuno sembra avere – per adottare un’espressione di Umberto Bossi diventata per il troppo uso, ormai, consunta – la quadra. La novità del ministro degli Affari regionali è più di metodo che di merito ed è stata ben riassunta da Vincenzo De Luca: “Non si ragiona partendo dalla spesa storica, ma dalla cornice unitaria”.

Tuttavia, cambiando l’ordine dei fattori non sembra che muti il risultato perché alla fine è necessario acconciarsi ad affrontare il merito della questione: come garantire i livelli essenziali delle prestazioni – Lep – se a realizzarli sono soggetti diversi? Insomma, per usare le vecchie e care parole della “questione meridionale”: come rendere uguali Nord e Sud se Nord e Sud sono diversi?

Francesco Boccia, pugliese, originario di Bisceglie, è una vita che fa il mediano e studia da ministro. Con il governo Conte 2 ha in parte realizzato il sogno e in parte ancora lo sta accarezzando. Il suo incarico di ministro per gli Affari regionali sembra quasi quello di commissario ad acta. Il compito specifico che gli è stato affidato è quello dell’artificiere: disinnescare la “bomba ad orologeria” dell’autonomia differenziata o regionale che gli stessi governi di centro-sinistra hanno innescato inserendo in Costituzione la possibile riforma. È come se il mandato di Boccia si dividesse in una pars destruens e in una pars costruens. Con la prima si demoliscono gli accordi precedenti tra governo e regioni, mentre con la seconda si ritorna alla casella iniziale e, quindi, si ripresenta puntuale la quadratura del cerchio che non c’è: creare l’autonomia senza le differenze sui servizi base.

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