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Cosa deve fare il centrodestra per tornare al governo

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Il centrodestra non ha certamente bisogno dei miei consigli. Peggio ancora: in questi casi, se uno prova a fare osservazioni di elementare buonsenso, il rischio è quello di irritare tutti, di attirarsi inimicizie e sospetti, di far immaginare chissà quali retropensieri. A maggior ragione, cercherò di essere schematico, lineare, e rispettoso di ogni punto di vista, di qualunque sensibilità. A partire da una constatazione banalissima: se i partiti del centrodestra sono tre (e non soltanto uno), questo deriva proprio dal fatto che ci sono storie e percorsi differenti, non del tutto sovrapponibili.

Tuttavia, quei tre partiti governano insieme in una dozzina di regioni (molto spesso, assai bene), ciò che li unisce è assai più ampio e più importante di ciò che li divide, hanno un elettorato poco superiore o poco inferiore alla maggioranza assoluta degli italiani (in ogni caso, almeno una decina di punti sopra la coalizione avversa), e dunque hanno – a mio avviso – il dovere di costruire un’alternativa al governo giallorosso, di renderla disponibile e operativa non appena dovesse crearsi un’occasione, un momento di crisi anche numerica di Conte.

E allora, per prima cosa, il centrodestra deve evitare di farsi disarticolare: che è il palese obiettivo della maggioranza e dei suoi giornaloni di riferimento, sempre pronti a enfatizzare le differenze tra Lega-Fdi-Fi, a infilarsi come un cuneo nelle contraddizioni dell’opposizione. Cercherò di essere affettuosamente esplicito con tutti. Sbaglierebbe Matteo Salvini, se, in quanto leader del partito maggiore e dunque in quanto candidato premier in pectore, non facesse ogni giorno qualunque tentativo e non esercitasse il massimo sforzo di pazienza per tenere insieme la coalizione, per parlare il più possibile anche a nome di tutti; sbaglierebbe Giorgia Meloni se, trovandosi in una fase così meritatamente positiva, facesse sponda all’evidente e insopportabile idiosincrasia dell’establishment nei confronti di Salvini (idiosincrasia che fa onore a Salvini, sia chiaro), o se puntasse solo all’incremento numerico del suo partito; e infine sbaglierebbe Silvio Berlusconi se portasse i suoi toni neomoderati e il suo sforzo comprensibile di rappresentare anche le preoccupazioni di una fascia di elettorato aggiuntiva rispetto a Lega e Fdi oltre un confine che non può assolutamente essere valicato, e cioè quello di fare da stampella a Conte, al centrosinistra, o a qualche altro esperimento di governo con quello stesso perimetro.

Inutile girarci intorno. Le differenze nel centrodestra ci sono, a partire dalla sfiducia o dalla fiducia nei confronti di alcuni strumenti europei. Personalmente, credo che la Lega abbia avuto ragione, in questa fase, a insistere favorevolmente sul ruolo della Bce, e invece a temere controlli, condizionalità e vincoli più o meno esplicitamente legati a Mes e Recovery Fund. Ma ora il compito dei tre leader – a mio avviso – è quello di enfatizzare ciò che li unisce, di insistere ogni giorno sul denominatore comune, e di non investire energie politiche e comunicative sulle differenze. E sarà molto utile, come hanno già meritoriamente fatto a partire dall’ultima legge di stabilità, e poi via via sulla massa di decreti messi in campo da Conte nell’ultimo semestre, continuare a organizzare un lavoro parlamentare comune, un’attività emendativa coordinata. Dalle cose più piccole e quotidiane (il coordinamento parlamentare) si può passare all’elaborazione di pochi punti fermi (in politica estera e in economia, ad esempio) su cui impegnarsi tutti a convergere, dando agli elettori un senso di compattezza di fondo.

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