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Ddl Zan, Fedez inciampa sulla censura

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Anche se ancora in discussione in Parlamento, il principio su cui si basa il Ddl Zan sembra già essere diventato di dominio pubblico, ovvero limitare la libertà di parola ed espressione nei confronti di chi si oppone a una legge liberticida. Non ancora attraverso l’uso dei tribunali ma con un cordone sanitario verso chiunque ponga dei dubbi su una proposta di legge che rischia di contraddire l’articolo 21 della Costituzione. Lo si fa attraverso un artifizio retorico che ben conosciamo: “sei di destra? Allora sei fascista”, “non sei d’accordo con le idee di Greta Thunberg? Allora odi l’ambiente”, “sei contrario al Ddl Zan? Allora sei omofobo”. Una semplificazione e polarizzazione del dibattito tipica dei nostri tempi in cui il riduzionismo fa da padrone ma che deve far riflettere; il solo contestare una proposta di legge per come è formulata, porta ad essere etichettati come omofobi e a ricevere violenti attacchi pieni d’odio da parte di chi sostiene la necessità di approvare la nuova legge proprio per contrastare l’odio.

Così, chi crede nei valori cristiani, è contrario all’utero in affitto o all’adozione dei bambini da parte delle coppie gay, all’educazione gender nelle scuole, subisce una vera e propria gogna per il semplice fatto di esprimere le proprie idee.

Tutto ciò diventa ancor più inaccettabile se queste posizioni sono sostenute in un evento come il concertone che è pagato con i soldi dei contribuenti italiani (per circa mezzo milione di euro) da parte del rapper Fedez che scambia il palco del concerto del Primo Maggio per un pulpito politico in cui scatenare una gogna verso chi si oppone al Ddl Zan.

Un comizio basato su un’enorme contraddizione che Fedez, accecato dall’ideologia, non riesce a percepire: mentre si lamenta della presunta censura della Rai nei suoi confronti, non si accorge di sostenere una legge che incrimina e rischia di mandare in prigione chi si oppone alla propaganda gender.

Un discorso in cui attacca i senatori della Lega Ostellari e Pillon che svolgono il proprio lavoro utilizzando gli strumenti parlamentari per opporsi all’approvazione della legge, in cui se la prende con persone come Jacopo Coghe che, con la Onlus “Pro Vita e famiglia”, sta portando avanti da anni un lavoro importante a sostegno delle politiche per la vita. Per poi appellarsi a Draghi chiedendo di “pensare allo spettacolo, non solo al calcio”, dimenticando il lavoro del sottosegretario alla cultura Lucia Borgonzoni (guarda caso anche lei della Lega) nei confronti dei lavoratori del mondo dello spettacolo.

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