L’Ufficio per la protezione della Costituzione tedesco (BfV), nel suo recente rapporto, ha dichiarato Alternative für Deutschland (AfD) un’organizzazione “di estrema destra acclarata”, non compatibile con l’ordinamento liberale e democratico della Germania. Una definizione grave, che apre la strada a una possibile sorveglianza sistematica e alla delegittimazione pubblica di un partito che, al momento, rappresenta quasi un quinto dell’elettorato tedesco. Ma questa classificazione solleva una questione fondamentale: può uno Stato autodefinirsi liberale e democratico mentre lavora attivamente per delegittimare e marginalizzare, attraverso apparati amministrativi, forze politiche che operano pienamente entro le regole della democrazia?
Alternative für Deutschland è un partito che, per quanto controverso nei suoi toni e nei suoi programmi, ha conquistato consenso in modo pienamente legale, ha rappresentanti eletti e partecipa al dibattito parlamentare. Secondo gli ultimi sondaggi, è stabilmente la seconda forza del Paese e, in alcune rilevazioni, supera persino la Cdu-Csu, piazzandosi in testa. Viene da chiedersi se sia proprio questa ascesa a renderlo improvvisamente “incompatibile” con l’ordine costituzionale. Il tentativo di classificarlo come minaccia appare allora più come la reazione di un sistema che teme il dissenso, che non la difesa da un reale pericolo eversivo. In democrazia, le idee – anche le più dure, persino scomode – si combattono con argomentazioni, non con i dossier dei servizi.
Il meccanismo è già noto: si invoca l’antifascismo come scudo per giustificare ogni forma di estromissione politica. Ma questa strategia, nel lungo periodo, è pericolosa. Perché non difende la democrazia: la banalizza e la svuota. Cosa resta del pluralismo se si stabilisce che certe posizioni – per quanto suffragate da milioni di cittadini – non sono compatibili con l’“ordine costituzionale”? Chi decide quale idea è legittima? E quando lo fa un apparato statale, non si scivola pericolosamente verso la repressione del dissenso con pretesti fuorvianti? Se i valori della democrazia liberale hanno senso, è proprio quando vengono messi alla prova da idee che disturbano, che provocano, che sfidano il pensiero dominante. Altrimenti, ciò che resta è una democrazia amministrata, sterilizzata, dove il consenso è ammesso solo se rientra nei confini di ciò che l’establishment considera accettabile.
La storia insegna che ogni volta che si tenta di squalificare un pensiero politico in nome della “protezione della democrazia”, si rischia di rafforzarlo. Le idee non si eliminano con le etichette: si affrontano, si discutono, si battono – se si ha la forza di farlo. E non si tratta di un caso isolato. In Romania, un candidato alla presidenza è stato escluso dalla competizione con l’accusa di estremismo, nonostante il sostegno elettorale. In Francia, Marine Le Pen è stata condannata all’ineleggibilità per cinque anni, in una sentenza che appare più politica che giuridica. Si delinea uno schema preoccupante: in nome della democrazia, si restringe sempre più lo spazio della rappresentanza. Ma una democrazia che teme il voto libero finisce per conformarsi a ciò che dice di combattere.
Del resto, si sa: per qualcuno, la democrazia è sacra… ma solo finché vince chi deve vincere. Per tutti gli altri, c’è l’esclusione cautelare. Con l’etichetta nobile di “difesa della libertà”, naturalmente.
Andrea Amata, 4 maggio 2025
Nicolaporro.it è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati (gratis).