Chiesa

È arrivata l’ora di dire la verità sulla fine di Papa Ratzinger

La morte di Francesco e la svolta “a destra” di tanti governi occidentali aprano la discussione sui motivi dell’abdicazione di Benedetto XVI

benedetto XVI ratzinger

Con la dipartita di Papa Francesco e la definitiva archiviazione dell’ordine globale a trazione progressista ad opera della nuova amministrazione americana guidata da Donald Trump, i tempi sono ormai maturi per fare finalmente chiarezza sulle controverse vicende che condussero all’abdicazione di Benedetto XVI dalla Cattedra di San Pietro.

Tanto si è detto, e ancor più è stato scritto in questi dodici lunghi anni in rifermento all’affaire Ratzinger, omettendo, tuttavia, quasi sempre, di sottolineare le reali ragioni che spinsero l’allora pontefice a farsi da parte, ed evitando, pertanto, di ricostruire quella recente pagina della storia contemporanea con il linguaggio della verità. Le principali motivazioni connesse alle premature dimissioni di Benedetto XVI vanno infatti ricercate nei profondi mutamenti intervenuti in quella precisa fase storica sulla scena geopolitica per effetto diretto delle scelte avvallate dall’amministrazione Obama, e quindi, pertanto, nei complessi rapporti intercorrenti in quel frangente tra Washington e la Santa Sede.

Gli importanti investimenti effettuati dagli Usa sull’Islam politico della Fratellanza musulmana durante la stagione delle cosiddette “primavere arabe”, e la contestuale volontà manifestata da Papa Ratzinger di pervenire in tempi brevi a una storica riconciliazione con il patriarcato di Mosca, al fine di coronare l’ambizioso progetto geopolitico di integrazione euro-russa, sostenuto, peraltro, con forza anche dalla Germania e, soprattutto, dall’Italia di Silvio Berlusconi, causarono infatti delle asperrime frizioni tra la Casa Bianca e il Vaticano.

Quel che sarebbe accaduto di lì a poco è ormai noto a tutti. Tanto la Santa Sede quanto Palazzo Chigi furono investiti da una violentissima tempesta mediatico-finanziaria. A una feroce campagna scandalistica, riguardante spesso e volentieri anche la sfera strettamente privata dei malcapitati, si sommarono tutta una serie di manovre finanziarie a dir poco opache che, in più poco più di un anno, obbligarono prima il presidente del consiglio italiano e poi il pontefice a rinunciare ai rispettivi mandati. Nel novembre 2011 toccò al premier Silvio Berlusconi, il cui governo fu letteralmente fatto fuori a colpi di spread. Quindici mesi dopo, nel febbraio 2013, fu la volta Joseph Ratzinger, costretto ad abdicare dal soglio pontificio dopo l’attacco senza precedenti sferrato ai danni dello IOR.

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L’improvvisa rinuncia al pontificato di Benedetto XVI trova infatti la sua primaria giustificazione nella sospensione dello SWIFT (il circuito utilizzato dalla quasi totalità delle banche per trasferire denaro, alla base di tutte le transizioni internazionali) comminata al Vaticano nel 2012 per via delle accuse di riciclaggio che investirono in quella fase lo IOR. Situazione che comportò poi, nei giorni che precedettero la fine del pontificato di Benedetto, il blocco di tutte le transazioni monetarie della Banca vaticana, poi, tuttavia, immediatamente sbloccate dopo le dimissioni di Ratzinger e l’avvento al Soglio di Pietro di Jorge Mario Bergoglio, figura ideologicamente molto più affine con l’agenda dell’allora amministrazione americana targata Obama-Clinton.

Le forti “pressioni” di Washington risultarono pertanto decisive al fine di favorire l’epocale avvicendamento tra Ratzinger e Bergoglio sulla Cattedra di San Pietro, e incoraggiare quella “primavera cattolica”, impersonata alla perfezione da Francesco, favorita a suo tempo dalla Casa Bianca per imprimere un decisivo cambio di passo in senso globalista alle politiche della Santa Sede (e dell’Europa). Il resto è attualità.

Salvatore Di Bartolo, 8 maggio 2025

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