Politica

È già partita la folle campagna anti-presidenzialismo

Il costituzionalista Gaetano Azzariti la spara grossa: “Evitiamo gli apprendisti stregoni. Così si rischia l’autocrazia”

Meloni riforma costituzionale

Chi scrive non è un costituzionalista, e soprattutto ringrazia di non esserlo mai diventato da allievo di Gaetano Azzariti, docente alla facoltà di Giurisprudenza della Sapienza (quel covo di libertà, per intenderci, che impedì a Ratzinger di tenere una lectio magistralis e a Capezzone di presentare un libro). Dicevamo: chi scrive non è un costituzionalista, però oggi l’intervista dell’illustrissimo professorissimo sul progetto di presidenzialismo del governo Meloni è qualcosa di inimitabile. In senso negativo, ovviamente.

Partiamo da titolo e sommario, di cui il nostro non è direttamente colpevole ma che risulta per una volta fedele al contenuto: “Evitiamo giochi da apprendisti stregoni, col presidenzialismo si rischia l’autocrazia”. E a seguire: “Il sistema funziona solo con grandi contrappesi di potere. Ispirarsi al modello francese? Inseguendo Parigi potremmo ritrovarci a Mosca”.

Ora, messa così sembra solo la solita sparata di quel circoletto intellettuale che vede col fumo negli occhi ogni singola proposta avanzata dal centrodestra. Quel circoletto ideale, per dire, cui appartiene anche Saviano, al quale basta una banale querela per diffamazione per parlare di autocrazia. Però Azzariti dev’essere persona intelligente se fa il lavoro che fa, dunque va preso sul serio. E non osando elevarci al suo sacro livello, ci limiteremo a sottoporgli 5 banali domande.

  1. Secondo Azzariti il presidenzialismo “non è un male in sé, ma neanche un bene in sé”. Dipende “dal contesto” in cui lo si applica. Infatti, presidenziali o semi-presidenziali sono pure Turchia e Russia. Dunque, il sistema può applicarsi solo dove ci sono pesi e contrappesi di potere. Per Azzariti l’Italia non ne ha, fattore che rischierebbe di trasformarci in un’autocrazia stile Mosca. Ci scusi, professore: ma seriamente ci vuole dire che nel Paese in cui la magistratura ha fatto e disfatto due Repubbliche non ci sarebbero pesi e contrappesi? Davvero ci vuole spiegare che un sistema partitico in grado di produrre una sessantina di governi in appena XIX legislature (negli ultimi anni producendo cambi di colore politico in corsa indegni), non sia in grado di gestire un presidente eletto dal popolo?
  2. L’illustrissimo professore, ma davvero pensa che un sistema ampiamente utilizzato negli Usa e in Francia possa essere pericoloso per una democrazia compiuta come quella italiana?
  3. Azzariti vede nella debolezza del Parlamento uno dei rischi: “In Italia è il governo il vero dominus dei lavori parlamentari, con questioni di fiducia e maxi emendamenti”. Vero. Ma sarà forse a causa del fatto che per approvare una legge ci vogliono 18 secoli tra doppie inutili letture? Non sarà forse colpa del fatto che il nostro sistema a bicameralismo perfetto non ha senso di esistere nel 2023 e che forse avremmo dovuto modificarlo tempo fa, invece di bocciare ogni volta tutte le riforme costituzionali in onore alla supposta “Carta più bella del mondo”?
  4. Quali sono le evidenze scientifiche, nel senso politologico e giuridico del termine, secondo il quale può affermare che “giochi da apprendisti stregoni” per il presidenzialismo alla francese ci porterebbero all’autocrazia?
  5. Perché bombardare alzo zero una riforma, che coinvolgerà per due anni il Parlamento con una bicamerale (pare), prima ancora che se ne conoscano non dico i dettagli, ma almeno le linee generali?

Magari un giorno daremo ragione a lei (dubito). Ma pensi un po’: il presidenzialismo era nel programma elettorale del centrodestra, che ha vinto le elezioni e deve attuare quanto promesso. Inoltre, le segnalo che il partito di maggioranza relativa, FdI, ha fatto sapere che “se anche la riforma dovesse ottenere i due terzi dei parlamentari”, e dunque venisse approvata in automatico, “sarebbe comunque giusto indire il referendum“. Si tranquillizzi: come vede, qui nessuno vuole finire come Mosca.

Giuseppe De Lorenzo, 3 gennaio 2022

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