Libri in Libertà

E i cinesi ci fanno le scarpe

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L’Italia con le sue bellezze e il suo patrimonio sta cadendo in mani straniere. Ecco la tesi del nuovo libro di Mario Giordano. Per gentile concessione dell’autore, un estratto da L’Italia non è più italiana. Così i nuovi predoni ci stanno rubando il nostro Paese, libro di Mario Giordano, uscito da poco per Mondadori. Per una settimana, tutte le sere, sul nostro sito troverete un teaser, una piccolo boccone del libro appena uscito. Ecco l’ultima puntata.

 

Due dragoni all’ingresso. La scritta «Centro ingrosso Cina». E la bandiera italiana, che qui in mezzo stona come Giampiero Mughini alla festa del Toro Club. Siamo ad Agrate Brianza, due passi da Milano, subito fuori dall’autostrada che porta a Venezia. Questo è il più grande megastore cinese d’Europa: tre piani, 56.000 metri quadrati, oltre 400 spazi commerciali a disposizione per vendere di tutto: abbigliamento (soprattutto), ma anche borse, valigie, elettronica, bigiotteria, scarpe, lampadari, piante, fiori, cartoleria, orologi e accessori per auto. In teoria dovrebbe essere riservato ai commercianti con partita Iva. In realtà è aperto a tutti. Ovviamente sette giorni su sette. Non si ferma mai.
Una volta qui c’era una fabbrica farmaceutica, la Uquifa: da un paio d’anni c’è un pezzo d’Oriente incastonato ai margini della Brianza. Un luogo dal gigantismo inquietante. Bianco. Luminoso. Un iperuranio commerciale, dove tutto è mescolato eppure maniacalmente ordinato. Stracci e vestiti da sera, cenci e tessuti pregiati, marchi in disuso e marchi taroccati: non c’è nessuna logica nella distribuzione, ma tutto è squadrato, rigoroso, perfino un po’ asettico. Più che in un centro commerciale sembra di stare in una clinica svizzera. Non fosse che di svizzero non c’è nulla. Qui tutto, ovviamente, è cinese. I negozi sono cinesi, le merci sono cinesi, i venditori sono cinesi, i ristoranti sono cinesi, i bar sono cinesi. Nei corridoi corrono carrelli cinesi guidati da giovani cinesi. E negli angoli dei negozi cinesi ci sono bambini cinesi che mangiano avanzi di zuppe cinesi. Solo le insegne dei negozi sono miste, Andrea Moda e Ou Shang, Monte Cervino e Wenfu. Ma i nomi italiani sono rigorosamente tradotti in ideogrammi. E così fa un po’ sorridere trovare lì, in mezzo a questo pezzo di Cina in salsa milanese, il manifesto di un calzaturificio di Trani che difende il vero made in Italy delle scarpe italiane. Il made in Italy? Qui? Fra calzature Huaxin e calzature Taiwei? È un po’ come difendere il senso del pudore al festival del porno. O a un comizio elettorale.
Poi di che scarpe parliamo? Le scarpe ce le fanno i cinesi. E da un pezzo, ormai…

Mario Giordano, L’Italia non è più italiana. Così i nuovi predoni ci stanno rubando il nostro Paese

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