Ecco 15 buoni motivi per non piangere san Fazio martire

Non si fa altro che parlare di Che tempo che fa e del passaggio di Fazio a Discovery. Basta con il termine “epurazione”

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fazio discovery

Signore e signori, trasmettiamo ora: motivi sparsi per non rimpiangere le brigate rosa di Fabio Fazio anzi rallegrarsi della loro dipartita.

1. Ci rompe le palle da una ventina d’anni con Che tempo che fa e da 40 lui personalmente: anche basta.

2. Ci è costato come un Pnrr, come una transizione green: non proprio ad equo canone.

3. Ci ha sbomballato con ospiti noiosissimi, pipponi sfinenti, interviste balbuzienti, pura agiografia, mai un po’ di ciccia, sempre la solita aria fritta del politicamente corretto di stampo europiddino: praticamente la televisione di qualità come concepita dalla sinistra, esaltazione da groupie per i loro, tra di loro, faziosità astiosa e malmostosa per gli infedeli. Sempre a livello scuola primaria.

4. Non si è mai capito che fosse, un conduttore, un ciambellano, un ufficiale di collegamento: un giornalista no, anche se anni fa Biagi, Bocca e Montanelli nel 2007 gli fecero avere il premio “È  giornalismo”: pure i monumenti a un certo punto accusano gli scherzi del climaterio o forse era come disse Bocca che un po’ se ne vergognava: “Mi invita sempre, mi fa fare bella figura”.

5. Il parterre, diciamolo, era incommestibile, ci voleva ogni volta una overdose di digestivo Antonetto: Massimo Gramellini, Michele Serra, la Littizzetto a culo per aria, ampiamente fuori tempo purtroppo, e poi tutti gli altri, i finti morali, gli pseudocolti, gli intellettuali da cartone animato. Quel luogocomunismo, quella profondità di superficie, quell’umorismo un po’ da trivio, un po’ da scuola media, sempre acidulo, a denti stretti come la rubrica della Settimana Enigmistica, perché questi qui di sinistra una bella risata, aperta, franca, sfacciata, non se la sanno fare, più incassano e più ce l’hanno col mondo, col capitalismo, altrui, con le case, altrui, con la majala della su’ mamma, altrui. Cioè hanno una coda (di paglia) che manco i castori.

6. Fazio è un personaggio falsissimo: lo diciamo con la schiettezza di Fantozzi sulla Corazzata. Dai, lo sanno tutti. Petaloso in diretta, carogna prima e dopo. E attento al soldo come manco il sor Savino Capogreco di Amici Miei. È finito là dove piglia una milionata di più l’anno. Con buona pace dei lunatici alla Rula Jebreal, al gruppo Stampubblica, all’art. 21 fregnacce di Giulietti, al piddinismo baglioniano da Anima mia, che lo tratteggia, ed è pazzesco, come un deportato, uno della Shoah: io mi chiedo cosa ceppa ci stia a fare la Segre dell’omonima commissione, impancata a vigilare proprio su fenomeni di questa risma demenziale, ipocrita, fondamentalmente ignobile. Perché non si può paragonare all’Olocausto uno che va a pigliare 2,5 milioni l’anno, in base a sue liberissime e soprattutto liberiste scelte.

7. Il trasferimento a La9, controllata da Warner, vale il prezzo del biglietto. Perché lì si troveranno due clan che si odiano, quello di Fazio e quello di Travaglio, e, come cantava quello, prima di rincoglionirsi, cioè voglio proprio vedere come va a finire.

Per approfondire

8. Il vittimismo del Fazio che in 40 anni di Rai, tra risarcimenti, rientri, avventure mancate spiega da solo tante cose: si atteggia a Eleonora Duse, a Francesca Bertini, ma, ad libitum, nessuno lo ha cacciato, se n’è andato lui fiutando l’affare altrove e cogliendo al balzo la palla, enorme, dell’epurazione. E allora, perché tenere un paraguru così?

9. Il markettificio strategico non si reggeva più. Un carosello continuo di segnalazioni, sponsorizzazioni, libercoli, filmetti pariolini, dischetti da coglionazzi del Primo maggio, dove c’era militanza, propaganda, servizio privato a dimensione di pubblico, lì arrivava Fazio con la sua televendita piddina.

10. Burioni. Basta, finisce così, non è che c’è altro da spiegare.

11. L’ortodossia in funzione governativa: Conte, Draghi, i lockdown, il greenpass, il vaccino uber alles, il catastrofismo epidemico e climatico, l’ambientalismo coglione, Greta, i teppisti climatici, gli attendati, le groupie di Cospito, gli apprendisti stregoni, la generazione Erasmus, la sottomissione europeista. Se Vespa è rinomato per essere la terza Camera del Parlamento, Fazio lo è per essere la camera da letto del regime piddino. Mai una critica, mai un dubbio, zero tituli di dissidenza. Zdanov gli fa una pippa. Nei peggiori anni della nostra vita, quelli da reclusi, il Che tempo che fa di regime ha suonato una grancassa poderosa, completamente avversa alla libertà, ai diritti fondamentali, invitando politici fanatici, virologi di servizio, commentatori omogeneizzati. E se capitava qualche voce stonata, ma non capitava, veniva sfondata secondo tecnica consolidata.

12. Saviano. Basta, finisce così, non è che c’è altro da spiegare.

13. Il mappamondo di Fazio. Cioè una dimensione telepolitica asfittica, autoreferenziale, claustrofobica, finalizzata a puntellare un potere che in Rai e nel paese è durato decenni, l’ultimo senza nemmeno una parvenza d’investitura popolare. Che tempo che fa è stato, per anni e annorum, lo specchio di un autoritarismo che si legittimava di per sé, vagamente eversivo in quanto non pienamente democratico, puntellato regolarmente dal Colle a prescindere dall’inquilino, fondato sull’infiltrazione gramsciana nei giornali, nella televisione, di stato e non, nell’editoria, nelle arti popolari sovvenzionate, nel conformismo stupido spacciato per ragionevolezza, nella faziosità ammantata di tolleranza. E non si venga a dire, per l’amor del cielo, che il trasloco delle brigate rosa sia un atto d’imperio del nuovo regime: d’accordo, Fazio dalle parti di Meloni e soprattutto Salvini non è amato, ma, repetita juvant, se n’è andato lui: prova ne sia che praticamente tutti gli altri programmi militanti e pesantemente militanti non vengono toccati, anche per non mettersi contro quel paio d’impresari di sinistra che in Rai fanno davvero il Che tempo che fa. Bello o cattivo.

14. Il sultanato in Rai. Fazio ha sempre frignato: quando stava sulla terza rete, quando voleva la prima rete, quando gli ha detto malissimo sulla prima rete, quando è tornato sulla terza rete, quando era senza rete, cioè voleva andarsene dall’Azienda, quando voleva tornarci, quando gli davano Sanremo, lui piangeva, piangeva e faceva il padrone. Un cliché di marmo, un copione senza licenza d’improvvisazione. Chiagne e trasmette: studi costruiti solo per lui, nessun controllo sui contenuti, a differenza di altri (per forza, lì c’era il Pd ad approvare a monte, mai visto uno più organico, di quale supervisione c’era bisogno? Di quella dello specchio?), una macchina pubblicitaria da Invincibile Armata dentro e fuori dalla Rai; praticamente intoccabile, insindacabile, indiscutibile. La macchina della televisione al servizio della macchina del partito. Ben congegnato, ma alla lunga inconcepibile.

15. Il tempo non aspetta nessuno. Ai compagni gli puoi servire la stessa sbobba riscaldata in eterno, le stesse salsiccette e tortellini da Festa de l’Unità, e loro li mangiano diligenti e compunti, da bravi trinariciuti. Ma il programma, se proprio vogliamo dirlo, era scaduto, bolso, superato, prevedibile, era una spoon river di facce, di intenzioni, di contenuti. La verità è che i Saviano, i Burioni, le Murgia, il cantante più o meno militante non rappresentano nessuno e nessuno li segue più a dispetto della grancassa che vorrebbe far credere il contrario. Ed è da vedere se in un network privato, che paga di più ma dalle logiche differenti e con meno paracadute politico e mediatico, la formula trita e ritrita pagherà: chi scrive ha qualche dubbio, poi magari si sbaglia. Fazio, al climax del vittimismo, ha proclamato con lacrima di sangue: “Non sono uomo per tutte le stagioni”. Vero, ma nel senso che ogni uomo ha la sua stagione e nessuna stagione è per sempre. Vale anche per te, perfino per te, anche se non te ne fai una ragione, non riesci a crederci.

Max Del Papa, 17 maggio 2023

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