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Ecco due strategie per annullare il green pass - Terza parte

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L’alternativa contro il green pass

Esiste anche un’altra strada. L’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000 stabilisce espressamente che “ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge, il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone, il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro, il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani”. Siamo proprio sicuri che per la vaccinazione contro la Covid-19 il consenso sia libero e informato? Siamo proprio sicuri che il corpo umano non sia fonte di lucro per le multinazionali del farmaco che hanno visto decuplicare (se non di più) i propri guadagni? Siamo proprio sicuri che, imponendo per decreto-legge un certificato che consenta l’esercizio di elementari diritti di cittadinanza, sia tutelata a pieno l’integrità fisica e psichica dell’individuo, visto che l’obbligo del green pass rappresenta una forte pressione psicologica alla vaccinazione?

Così l’Ue tutela la libertà

Peraltro anche il Trattato sull’Unione europea tutela, all’art. 2, la dignità umana contro ogni forma di discriminazione, nel rispetto dello stato di diritto e dei diritti umani: “(…) Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”. Non possono esistere dunque cittadini di serie A e di serie B nell’Unione.

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, detta anche Carta di Nizza, ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea (dopo la modifica avvenuta nel 2007 col Trattato di Lisbona), viene equiparata ai Trattati istitutivi dell’Unione ed acquisisce pertanto il rango di diritto primario. Il Trattato di Lisbona è stato ratificato dal Parlamento italiano nel 2008 ed è entrato nel nostro ordinamento giuridico attraverso una legge ordinaria (Legge 2 agosto 2008 n. 130).

Da un lato abbiamo dunque un decreto-legge, il n. 111/2021, e la sua eventuale legge di conversione, dall’altro una legge di ratifica di un Trattato della Ue (Legge n. 130/2008) che ingloba la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Due leggi, due fonti del diritto dello stesso rango. Si può applicare il principio generale della successione delle leggi nel tempo, per cui la legge successiva supera quella antecedente? Una delle due leggi è di ratifica di un Trattato internazionale e, come tale, non può essere superata da una successiva legge ordinaria eterogenea, come è una legge di conversione di un decreto-legge emanato peraltro in una fase emergenziale.

Il ricorso alla Corte Ue

E allora? La soluzione è ancora una volta nelle mani del giudice ordinario. Da un lato, come si è visto, può formulare un quesito alla Corte costituzionale, ma esiste anche un altro rimedio giurisdizionale. I giudici nazionali, se chiamati a giudicare una causa intentata da un cittadino o da qualsiasi soggetto a cui è stato leso un diritto soggettivo, possono rivolgersi alla Corte di giustizia europea per chiederle di precisare una questione di interpretazione del diritto dell’Unione, al fine di poter – ad esempio – verificare la conformità del diritto nazionale col diritto europeo, originario (Trattati) o derivato (regolamenti e direttive). Si tratta del cosiddetto “rinvio pregiudiziale”, al cui quesito la Corte risponde con sentenza o ordinanza motivate, vincolanti per il giudice nazionale che ha avanzato la procedura di “rinvio”. La Corte è composta da 27 giudici, uno per ciascuno Stato membro. Considerato che parecchi Paesi non hanno adottato il certificato verde interno come invece hanno fatto Italia e Francia, la partita sarebbe apertissima.

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