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BigTech VS Banche tra competizione e tutela, chi vincerà?

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La scorsa settimana nel mio precedente articolo abbiamo ho parlato delle SuperApp, app multifunzionali che puntano ad assorbire il consumatore in un’unica piattaforma fornendo servizi a 360 gradi, inclusi i servizi finanziari.

Ma facciamo un passo indietro all’arena competitiva dei servizi finanziari assediata prima dalle Fintech e dopo da un un nuovo potente competitor: le BigTech

 

Cosa sono le BigTech applicate ai servizi finanziari?

Con il termine Big tech si fa riferimento ai giganti della tecnologia, aziende hi-tech, operatori di business non bancari , identificati con le sigle “GAFAM” (Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft) e “BAT” (Baidu, Alibaba e Tencent) in Cina. Tutte queste aziende si caratterizzano per essere aziende tecnologiche che lavorano, tra le altre aree, anche nella finanza, molto diverso dall’essere aziende finan­ziarie che utilizzano la tecnologia ed è in questo che consiste gran parte della sfida trasformativa che le banche devono affrontare.

 

Il modello di business delle Big Tech si basa sul cosiddetto DNA (Data, Network, Actions)  si tratta di una sorta di ciclo naturale nel quale i tre elementi tendono stimolarsi vicendevolmente, il che impone  semplicemente il dovere di nutrire gli elementi stessi per ricavarne benefici molteplici per l’indotto.

La ricerca realizzata da Ambrosetti Club, in partnership con Cedacri, sulle opportunità e le sfide del sistema bancario nel nuovo contesto competitivo definisce questo modello come un modello di circolo virtuoso, che si autoalimenta: le Big Tech costruiscono delle piattaforme sulle qua­li i venditori ed i clienti di prodotti e servizi si incontrano. L’uso di queste piattaforme genera esternalità positive (Network Ex­ternalities) rappresentate dal fatto che il vantaggio per i fornito­ri ed i clienti aumenta all’aumentare del numero di utenti presenti sulla piattaforma: più clienti sono presenti, maggiore è il vantaggio per i fornitori e viceversa. Gli utenti aumentano e compiono azioni (Actions) che vengono tracciate e alimentano i dati che, analizzati (Data Analytics) permettono di progettare servizi e prodotti sempre più mirati alle esigenze dei clienti. A sua volta, l’ampliamento dell’offerta attira sem­pre più utenti sulla piattaforma. Questo aumento degli utenti consente di avere la massa critica per offrire nuovi servizi e alimentare il circolo, realizzando così economie di sco­po e di scala.

 

Le Big Tech stanno trasformando il modo di fare banca sia con la tecnologia sia con un diverso modello di interazione con i consumatori e le aziende ma non hanno interesse a divenire banche per un duplice motivo: prima di tutto per i bassi margini di profitto legati anche alla riduzione dei tassi di interesse quindi non abbastanza attrattivo per le multinazionali e a causa della compliance e il costo eccessivo del sistema regolatorio che le banche devono rispettare e che sarebbe applicato anche a questi player tecnologici sul mercato nazionale ed europeo.

 

Secondo una ricerca pubblicata da Merrill Lynch, negli Stati Uniti, l’industria tecnologica e dell’e-commerce è sottoposta a circa 27.000 leggi mentre quella bancaria a 128.000. I costi e i rischi di una licenza bancaria sono troppo alti, è strategicamente più semplice ed efficace continuare a espandersi nelle attività bancarie periferiche catturando segmenti specifici di mercato. Inoltre, come anticipato prima il rendimento dell’industria bancaria (12,74 per cento) è nettamente più basso di quello a cui sono abituate le BigTech (28,14 per cento). Come possiamo vedere dal grafico i servizi finanziari costituiscono solo l’11,3% del loro fatturato.

 

Si può supporre quindi che l’offerta di servizi finanziari da parte delle BigTech faccia in realtà parte di una “strategia” più ampia: con l’obiettivo di diventare più importanti nella quotidianità degli utenti espandendo il loro business offrendo servizi trasversali per fornire al cliente un servizio completo, un altro obiettivo è quello di portare questi servizi agli 1,7 miliardi di persone che ancora non dispongono di servizi bancari. Per le BigTech, servire il cliente a tutto tondo è indispensabile sia per continuare a crescere sia per mantenere la posizione di oligopolio sul mercato ed ambire e concorrere al ruolo di SuperApp.

 

Questo anche grazie al fatto che le BigTech possiedono una quantità di dati enorme su tutti i loro clienti e hanno le capacità di gestirli per offrire loro una esperienza d’uso ottimale oltre che per comprenderne (e orientarne) le preferenze e ottenerne la fiducia. In aggiunta ad una solida dotazione tecnologica e alle competenze digitali, le BigTech possiedono tutti gli elementi necessari per “dominare”  il settore finanziario: una buona base clienti che può essere ulteriormente ampliata attraverso il secondo elemento ovvero l’analisi intelligente dei dati raccolti per attrarre nuovi clienti e attuare azioni di fidelizzazione di quelli esistenti; un livello di “Customer experience”  altissimo capaci di creare processi “cliente-centrici”, queste aziende infatti si caratterizzano per il coinvolgimento dell’ utente durante l’operazione di acquisto del prodotto/fruizione del servizio tramite un’esperienza d’acquisto semplice Infine la solidità finanziaria e disponibilità di cassa.

 

I ricavi di Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft assieme hanno superato nel 2020 mille miliardi, secondo i dati usciti nelle ultime due settimane. Il coronavirus ha fatto da acceleratore. Tutte le aziende hanno avuto ricavi sopra le aspettative nel 2020 che occupano le prime cinque posizioni nella classifica mondiale per capitalizzazione con un valore complessivo (al 13 novembre 2020) di 7.400 miliardi di dollari circa,  oltre il 60% in più rispetto a un anno prima a fronte della crescita del 15% dello S&P 500, le cinesi Alibaba e Tencent, occupano le due posizioni immediatamente successive, portando a quasi 9mila miliardi (la metà circa del PIL 2019 della intera UE) il valore complessivo.

Uno dei vantaggi delle BigTech nella competizione con Banche e Fintech è dovuto alla PSD2, in base alla quale le banche devono permettere l’accesso dei dati agli operatori che offrono servizi connessi ai pagamenti ma che non vige affatto il principio opposto, ovvero le banche non possono accedere ai dati archiviati da questi operatori non bancari, anche se il cliente è d’accordo. Filippo Renga, cofondatore degli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano e direttore dell’Osservatorio Fintech & Insurtech, propone di rendere reciproca la direttiva, imponendo anche alle BigTech di condividere i loro dati spiegando che questo obbligo garantirebbe la necessaria reciprocità tra i due mondi, maggiori possibilità di cooperazione o competizione virtuosa e vantaggi per il consumatore.

Un secondo vantaggio è la loro posizione privilegiata dal punto di vista tributario, grazie alla loro possibilità di registrare le loro sedi in paesi a fiscalità agevolata, negli ultimi cinque anni le BigTech si stima abbiano evitato di pagare oltre 46 miliardi di euro. In Italia nel 2020 sono stata pagate tasse per soli 70 milioni.

Fermare la corsa al ribasso della tassazione e favorire l’equità è stato il duplice obiettivo dei ministri delle Finanze del G7 che si sono incontrati pochi giorni fa raggiungendo un epocale accordo sul principio di una aliquota globale minima del 15% per la tassazione delle grandi imprese, applicata Paese per Paese . Diversamente dalla digital tax italiana e francese, che tassa i ricavi, questa tassa riguarderà le società con margini di profitto di almeno il 10%. Queste dovrebbero destinare il 20% dei propri utili globali alla tassa nei Paesi dove effettuano vendite.

I ministri del Tesoro di Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, U.K. e USA hanno però bisogno dell’adesione di colossi come Cina, India, Brasile, tanto per fare i nomi più importanti di Paesi che sono nel G20 ma non nel G7, per dare una prospettiva globale concreta alla nuova tassazione condivisa. Un prossimo appuntamento importante è il G20 finanziario in calendario a Venezia a luglio. L’idea è far pagare ai colossi globali anche nei paesi in cui operano fatturano e non solo dove registrano gli utili in bilancio, spesso godendo di aliquote molto basse.

Solo qualche giorno fa la presidente delle Commissione europea, Ursula von der Leyen, rispondendo alla lettera inviata al ceo di Axel Springer Mathias Dopfener (pubblicata da MF-Milano Finanza), aveva affermato che se gli Stati Uniti non combatteranno con l’Europa la battaglia per arginare lo strapotere degli over the top l’Unione Europea sarà costretta a muoversi da sola perché in ballo c’è la tenuta degli assetti democratici e il benessere di milioni di persone. Colossi come Amazon o Google non solo fatturano come un grande Paese ma i loro modelli industriali si poggiano sull’utilizzo dei dati personali degli utenti e sulla trasformazione delle piattaforme in un vero e proprio mercato, scavalcando ogni possibile argine antitrust. Un limite alla superpotenza degli over the top è quindi sempre più improrogabile, anche nei settori finanziari da quello bancario a quello assicurativo appunto.

Per le aziende americane Joe Biden vuole riportare al 28%, la tassa che Donald Trump nel 2017 aveva ridotto al 21%: ma mira a una riforma globale, un ambizioso piano in due parti. Primo: redistribuire i diritti di tassare i profitti, in modo che una parte di essi vada al Paese dove si fanno i ricavi, indipendentemente dalla presenza di sedi locali; in cambio eliminando ogni tassa sui servizi (web tax). Secondo: introdurre una tassa globale mondiale del 21%, o almeno superiore al 15%. E su questo il 5 giugno al G7, si è raggiunta una storica intesa. L’innovazione sta nel riconoscere che l’economia di un Paese dà un contributo alla formazione del profitto che fanno i Big Tech fornendo beni e servizi: i Paesi potranno tassarli sulle vendite annue anziché sulle singole transazioni, come fanno le web tax, di cui sono un sostituto.

Secondo l’Osservatorio fiscale europeo, organismo che ha sede a Parigi e diretto dall’economista francese Gabriel Zicman, ha calcolato: fissando al 15% il pavimento fiscale per le multinazionali, nei calcoli dell’organismo parigino l’Europa riuscirebbe a raccogliere 48,3 miliardi di euro, mentre negli Stati Uniti il conto si attesterebbe a 40,7. La fetta più ricca della torta fiscale europea spetterebbe al Belgio (10,5 miliardi).

 

Conclusioni

È però importante mettere in evidenza la crescente vendita di servizi tecnologici che le BigTech offrono all’industria bancaria. Amazon, Microsoft e Google sono i leader del mercato del cloud-computing di cui le banche sono tra i maggiori clienti. Esistono anche altri segmenti che potrebbero essere redditizi in vista di una sempre maggiore digitalizzazione dell’operatività bancaria (intelligenza artificiale, machine learning ecc).  Quindi i servizi finanziari offerti dalle BigTech si pongono in competizione con i tradizionali intermediari ma, in alcuni casi, anche in cooperazione.

I competitor nei servizi finanziari aumentano, innovano e si innovano, ma tutti hanno un obiettivo comune: la soddisfazione del cliente. Quindi ben venga la competizione, la concorrenza ma soprattutto la supervisione, affinchè eticità e innovazione possano creare un valore aggiunto alla società.

 

 

Deborah Ullasci

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