Economia

Dopo Marx vince il socialismo delle Banche Centrali. Si comincia dalle tasse di successione…

Economia

È in atto in questi ultimi mesi una sorta di ritorno al marxismo, di socializzazione del mondo. Quello che non è riuscito con le rivoluzioni marxiste a metà dell’800 rischia di essere determinato dalla Pandemia. Infatti un po’ in tutto il mondo si sta facendo spazio l’idea di riequilibrare i livelli di ricchezza o di povertà, che dir si voglia, prendendo ai primi per dare ai secondi, e non solo…

Anche Papa Francesco non perde occasione per sottolineare quanto sia importante evitare che ci siano distanze così forti tra chi ha tanta disponibilità e chi invece non riesce neanche a sbarcare il lunario. 

Una condizione, quella di forte differenza tra il mondo di chi sta bene e di chi vive in ristrettezze che, sembra essersi ingigantita proprio a causa della Pandemia. Non c’è dubbio che qualche soluzione andrebbe trovata, non è possibile assistere impunemente a condizioni di degrado, povertà e disagio sociale come quelli cui sono chiamate a vivere alcune zone del mondo ed alcune classi sociali anche del nostro Paese. 

 

Ma come affrontare il problema?

In Italia nei giorni scorsi è scoppiata una polemica clamorosa dopo le dichiarazioni di Letta che ipotizzava l’introduzione di una tassa di successione molto più “aggressiva” nei confronti dei grandi ricchi del Paese per creare dei fondi per i giovani, soprattutto per le pensioni di quei giovani che oggi hanno condizioni lavorative tali da non riuscire a costruire percorsi pensionistici sufficienti a garantire future sussistenze economiche e di tenore di vita. Letta non è l’unico, nonostante tutte le critiche ricevute, compreso quelle di Mario Draghi.

Una richiesta ancora più forte, passata per ora sotto traccia, arriva direttamente dall’OCSE che ha appena presentato un rapporto che evidenzia l’elevato grado di concentrazione della ricchezza nei paesi OCSE nonché la distribuzione ineguale dei trasferimenti di ricchezza stessa, una condizione che rafforzerebbe ulteriormente la disuguaglianza. 

In media, le eredità e le donazioni segnalate dalle famiglie più ricche (20% più ricchi) sono quasi 50 volte superiori a quelle segnalate dalle famiglie più povere (20% più poveri).

 

Il rapporto sottolinea che: 

“le tasse di successione, in particolare quelle che mirano a livelli relativamente elevati di trasferimenti di ricchezza, possono ridurre la concentrazione della ricchezza e migliorare le pari opportunità. Rileva inoltre che le tasse di successione generalmente generano costi di efficienza inferiori rispetto ad altre tasse sui ricchi e sono più facili da valutare e riscuotere rispetto ad altre forme di tassazione del patrimonio.

Gli individui sono spesso in grado di trasferire quantità significative di ricchezza esentasse ai loro parenti stretti grazie a soglie di esenzione fiscale elevate. 

Il rapporto propone una serie di opzioni di riforma per migliorare il potenziale di reddito, l’efficienza e l’equità delle imposte sulle successioni, sulle successioni e sulle donazioni, pur sottolineando che le riforme dipenderanno dalle circostanze specifiche del paese.
Trovare validi argomenti di equità a favore di un’imposta di successione prelevata sul valore dei beni che i beneficiari ricevono, con un’esenzione per le eredità di basso valore. L’imposizione di un’imposta di successione su base a vita – sull’ammontare complessivo della ricchezza ricevuta dai beneficiari nel corso della loro vita attraverso doni ed eredità – sarebbe particolarmente equa e ridurrebbe le opportunità di elusione, ma potrebbe aumentare i costi amministrativi e di conformità. Anche la riduzione degli sgravi fiscali regressivi, un migliore allineamento del trattamento fiscale di doni ed eredità e la prevenzione dell’elusione dell’evasione sono identificate come priorità politiche. Per rendere queste tasse più accettabili dal pubblico in generale, il rapporto sottolinea la necessità di fornire ai cittadini informazioni sulla disuguaglianza e sul modo in cui funzionano le tasse di successione e di successione, poiché queste tendono ad essere fraintese”.

 

Ma è corretto occuparsi del problema in questo modo? 

Per realizzare il riequilibrio infatti, non si pensa a creare dei progetti che possano mettere i Paesi e le famiglie più in difficoltà in condizioni di crescere e svilupparsi così come accaduto a quelli occidentali, Italia compresa. No, lo si vuole fare attraverso un prelievo da chi quella ricchezza l’ha già accumulata ed erogandola  a chi invece vive in uno stato di povertà. In termini semplici si tratterebbe di un esproprio per alcuni e di una donazione ricevuta per altri.

 

C’è il rischio, però, che siano sbagliate sotto tutti i punti di vista.

Infatti la ricchezza accumulata è passata attraverso sacrifici investimenti di generazioni, gestioni di risparmio, passaggi generazionali, tasse, rinunce. Non sarebbe giusto prelevare da questi solo perché hanno di più a disposizione. 

Inoltre la ricchezza viene presentata come un’accezione negativa, dalla Chiesa addirittura come fosse una caratterizzazione demoniaca. Ed invece così non è. 

Chi ha di più magari lo merita per quello che ha fatto nella vita per la qualità del suo lavoro per le capacità di impresa, per lo sviluppo sia determinato per se stesso, che per la propria famiglia, che per il paese in cui vive. Assimilare la ricchezza ad un concetto di negatività rischia di diventare un elemento di fortissima tensione sociale. 

 

E sull’altro fronte? Quello di chi riceve?

Quello di cui si parla sempre più sistematicamente si chiama assistenzialismo.

L’ assistenzialismo senza un progetto di sviluppo e di crescita rischia di diventare una sorta di pace dei sensi professionale e del lavoro, una condizione che non permette un consolidamento degli aiuti ricevuti, in nessun caso. Ci vorrebbe progettualità, creazione di cultura e di sviluppo, ci vorrebbe un piano, una sorta di Piano Marshall che possa aiutare coloro che hanno difficoltà nell’immediato, ma che permetta di generare una crescita progressiva sempre più sganciata dagli aiuti e sempre più agganciata a parametri di nuova crescita.

Ed invece i segnali sono già estremamente orientati verso un assistenzialismo che sta fornendo segni di preoccupante malessere sociale. E’ di pochi giorni fa il report del lavoro americano che ha fatto registrare una sorpresa su cui nessuno avrebbe scommesso troppo:

https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/economia/lavorare-perche-se-mi-pagano-per-starmene-a-casa-gli-aiuti-cambiano-il-mercato-del-lavoro/

Le gente che riceve sussidi, più bassi rispetto ai salari che avevano prima, sceglie di non tornare al lavoro.

Ma siamo certi che questa pace dei sensi non sia ora indotta anche da una sorta di nuova era digitale che porta i cittadini a comperare azioni di quelle stesse aziende che impegnano la loro vita tra ricerche sul web, videogiochi e serie tv?

 

Dove si posiziona il sottile limite tra la voglia di aiutare e la voglia di “appiattire”?

Il rischio è quello che l’appiattimento porti tutti verso una condizione comune in cui invece di emergere si tende ad essere tutti uguali, tutti simili, come in un distopico film sottolineato dalle musiche “rivoluzionarie” di “The Wall” dei Pink Floyd. 

Questa è una condizione che premia l’incapacità in luogo della capacità, dell’inettitudine, al posto della adeguata capacità di intraprendere. 

Una condizione di lobotomizzazione sociale in cui

la ricchezza pubblica e quella privata si fondono fino a che non si riesce più a comprende più quale sia il vero confine tra le due parti.

In un mondo in cui le banche centrali non solo governano le scelte di politica monetaria ed economica, ma diventano le vere detentrici del debito pubblico dei singoli Paesi (vedi caso BCE -Italia), ogni iniziativa privata appare sempre più un elemento del tutto.

C’è un’unica strada, quella del risveglio di ciascuno di noi dal torpore che ci ha condottò fino alla Pandemia. Alla fine la Pandemia potrebbe rappresentare il vero elemento distintivo tra passato e presente e futuro.

La Pandemia potrebbe riscrivere il nostro futuro. L’importante è tener ben stretta la penna, che sia nostra la calligrafia del testo, un testo che non siano altri a scrivere il nostro futuro per noi.

 

Leopoldo Gasbarro

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