Amazon fa coming-out, aiuterà i dipendenti LGBTQIA+ a cambiare sesso

L’azienda pronta a pagare le giornate lavorative necessarie alla transizione di genere

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Così come abbiamo difeso la pesca dell’Esselunga dagli attacchi alla famiglia tradizionale, ora sospendiamo il giudizio davanti alla decisione di Amazon di avvolgersi nella bandiera della comunità LGBTQIA+. Il colosso dell’e-commerce ha infatti deciso di finanziare la “transizione di genere” dei propri dipendenti e allo scopo ha redatto apposite linee guida, tra cui spicca  l’impegno di pagare l’addetto transgender come se fosse al lavoro nei giorni in cui si assenta per affrontare il processo necessario a cambiare sesso.

 

L’annuncio è stato dato in un Coming Out Day appositamente organizzato. Lo strumento scelto potrebbe essere quello del permesso retribuito, quello che qui più interessa non è però il dettaglio giuslavoristico, ma la filosofia abbracciata da Amazon verso la comunità arcobaleno al grido “Siamo Tutt* Famiglia”. Naturalmente con tanto di asterisco d’ordinanza, irrinunciabile quando si tratta di comunità gay, lesbiche, queer, transgender, bisessuali o  intersessuali.

 

Ogni impresa adotta le strategie che ritiene più opportune sia per trasmettere la propria immagine e i propri valori ai clienti sia per sbaragliare la concorrenza sul mercato; tale libertà deve valere sia nel caso della pesca dell’Esselunga in difesa della famiglia tradizionale sia in questa iniziativa con cui Amazon abbraccia le coppie queer.

 

Resta però una domanda , anzi due: perché il gruppo di Jeff Bezos non dimostra altrettanta “sensibilità” e attenzione al sociale verso le rimostranze dei sindacati, che periodicamente chiedono di migliorare il salario e le condizioni di lavoro? Perché l’annuncio al mondo omosessuale si è materializzato proprio in occasione del Prime Day  quando sono al massimo, con la corsa compulsiva degli utenti a sconti e promozioni, sia il giro d’affari dell’azienda sia il ritmo delle giornate nei suoi hub di logistica?

 

Oggi per esempio è atteso uno sciopero nel magazzino Amazon di Castelsangiovanni, nei pressi di Piacenza, ma l’azienda statunitense ha già fatto sapere alle locali Cgil, Cisl e Uil che l’attuale stipendio di ingresso (pari a 1.765 euro) supera del 7% quanto previsto dal contratto nazionale di categoria. Quindi null’altro è dovuto o sarà riconosciuto a chi incrocia le braccia. Eppure, senza per questo diventare degli alfieri delle battaglie che dovrebbe combattere la sinistra, il benessere di magazzinieri, autisti o impiegati (eterosessuali o omosessuali non importa) passa prima dal sapere di poter contare su buste paga il più possibile solide davanti alla tempesta del carovita rispetto alla possibilità di avere un aiuto dall’azienda se desiderano dismettere cravatta e mocassino per indossare tubino e décolleté  o viceversa.

 

L’Istat calcola, guardando naturalmente non al solo big dell’ecommerce ma al complesso delle aziende attive in Italia, che la corsa a perdifiato dei prezzi conseguente alla guerra in Ucraina abbia eroso il potere d’acquisto fino a ridurre le retribuzioni reali sotto i livelli del 2009. Altrimenti quel sorriso che campeggia sui pacchi con cui Amazon invade le nostre case mentre ci consegna l’oggetto agognato potrebbe quasi apparire una maschera. Magari perfetta per le coppie LGBTQIA+ ma, come qualsiasi abito di scena, destinata a essere lasciata in camerino a spettacolo terminato.

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